L’Altoforno 2 della ex Ilva può continuare a funzionare. Lo ha deciso il Tribunale del riesame. Mittal, governo, capi sindacali ringraziano; tanto non sono loro a rischiare la pelle.
Alla
fine, nella questione dell’Altoforno 2 dell’ex Ilva di Taranto,
ha vinto la “ragion di stato”, l’interesse supremo del
capitalismo al massimo profitto a tutti i costi al quale tutto viene
subordinato e sacrificato. Il Tribunale del riesame di Taranto, in
sede di appello, ha accolto il ricorso presentato dai commissari
dell’Ilva in amministrazione straordinaria (as), annullando la
decisione del giudice Francesco Maccagnano di respingere l’ennesima
istanza di proroga dell’uso dell’impianto.
L’accoglimento
del ricorso rafforza i padroni di Arcelor Mittal e garantisce
ulteriormente a essi in fabbrica l’operatività voluta in
condizioni estremamente pericolose per gli operai. L’intento dei
giudici è stato contribuire a ricomporre la “rottura” fra la
multinazionale Arcelor Mittal e il governo, che si era “avventurato”
sull’impervia strada del blocco dello scudo penale, consentendo
alla prima di continuare a produrre alle proprie condizioni e al
secondo di proseguire la trattativa.
La decisione di bloccare lo
spegnimento dell’Afo2 è stata accolta da un corale plauso
favorevole. Per i commissari contribuisce “a
spianare la strada a una ragionevole soluzione negoziata fra
l’amministrazione straordinaria e Arcelor Mittal, rimuovendo il
principale ostacolo a una piena e ordinata gestione degli impianti”.
Per il governo “è
il punto di partenza per ricomporre il futuro dello stabilimento
tarantino”.
Per i sindacati è “una
buona notizia per il mantenimento del dialogo fra impresa e
governo”.
Per
gli operai è invece la conferma che l’alternativa per essi è o
sgobbare alle condizioni del padrone, esposti quindi anche al rischio
di morire, farsi male o ammalarsi in fabbrica, oppure andare in mezzo
a una strada. Ma è stata anche una dura lezione per chi affida le
sorti degli operai alle decisioni dei giudici: per uno che, di fronte
all’evidenza, ha voluto lo spegnimento di un altoforno estremamente
pericoloso per gli operai, altri, più ossequiosi verso i padroni di
turno, si sono opposti perché lo hanno reputato, con parziali
correttivi, ancora adeguato per produrre acciaio e profitti.
Qual
è la storia dell’Afo2? Esso fu sequestrato nel giugno 2015 dopo
l’incidente costato la vita all’operaio 35enne Alessandro
Morricella, morto quattro
giorni dopo essere stato investito da una fiammata mista a ghisa
incandescente mentre misurava la temperatura di colata dell’Afo2.
Una morte per la quale la procura di Taranto ha chiesto il processo,
rinviando a giudizio l’ex direttore generale Massimo Rosini, l’ex
direttore dello stabilimento Ruggero Cola, il direttore dell’area
ghisa Vito Vitale, il capo area Salvatore Rizzo, il capo turno
Saverio Campidoglio e il tecnico del campo di colata Domenico
Catucci, i quali devono rispondere di cooperazione in reato di
omicidio colposo, e l’Ilva in as, per lo stesso reato, per “non
aver attuato cautele in materia di rischi industriali connessi
all’uso di sostanze pericolose”.
Inizialmente
l’Afo2 fu sottoposto a sequestro, ma poi il governo intervenne con
un decreto per sospendere gli effetti del provvedimento. Tanto è
vero che gli amici dell’operaio che hanno costituito un collettivo
con il suo nome e chiedono verità e condanne per i responsabili
della sua morte hanno esposto in tribunale un telo con la scritta
“Giustizia per Morricella morto per decreto”! Una giustizia
negata dopo che il Tribunale del riesame aveva già concesso
un’ulteriore proroga all’azienda fino a metà novembre per
ottemperare alle prescrizioni imposte quattro anni fa di messa in
sicurezza dell’Afo2 e non rispettate, tanto che la procura aveva
disposto lo spegnimento entro ottobre.
Lo scorso dicembre il
giudice Maccagnano (dinanzi al quale si svolge il processo per la
morte di Morricella) aveva respinto una nuova istanza di proroga
dell’uso dell’impianto. Proroga che ora il Tribunale del riesame
ha concesso, subordinandola all’adempimento delle residue
prescrizioni, in tutto o in parte ancora non eseguite, nell’arco di
non più di 14 mesi. C’è veramente da chiedersi se e come verranno
realizzate tali prescrizioni in così breve tempo se non sono state
esaurite in quattro anni!
E gli operai? “Alla
luce della migliore scienza ed esperienza del momento storico in cui
si scrive, il rischio per i lavoratori dell’Altoforno 2 deve
considerarsi assai ridotto”,
ha affermato il Tribunale del riesame. Per
dirla con chiarezza il rischio di morire bruciati è solo ridotto non
eliminato. E poi: “I
consulenti RMS di Ilva hanno quantificato in sei eventi in 10.000
anni il rischio che, in presenza di un operatore, si verifichi
nell’altoforno 2 una fiammata analoga a quella che uccise
Morricella,
precisando
che le conseguenze varierebbero in funzione della posizione assunta
dall’operatore, non preventivabile”.
Ma
questi consulenti che non corrono nessun rischio non ci dicono niente
sul fatto che i 6 eventi potrebbero concentrarsi nei prossimi mesi o
in pochi anni visto che l’installazione dei sistemi di sicurezza non
è stata realizzata in pieno. I dati sul ridotto rischio di incidenti
rivisto dai giudici del riesame
“consentono
dunque di porre idealmente sul piatto della bilancia questa prima
cifra (rischio pari a 0,006 nel prossimo anno), sull’altro invece
il danno (economico) derivante con certezza dall’anticipazione del
fine vita dell’altoforno (al gennaio 2020 anziché a fine 2023),
cui sommare gli ulteriori danni della perdita di quote di mercato e
delle ampie ricadute occupazionali”.
I
giudici mettono sul piatto della bilancia i rischi di morte per chi
lavora sull’altoforno e i profitti, che nascondono dentro le quote di
mercato, e decidono che il rischio si può e deve correre. Ma non si
diceva che le norme di sicurezza non sono trattabili, che vanno
garantite e basta?
Dalla
sentenza del riesame si capisce bene perché
quattro operai al giorno possono morire, la loro sicurezza va
bilanciata con il profitto del padrone. “(…)
Il bilanciamento in esame può dunque risolversi, allo stato degli
atti, in termini favorevoli all’accoglimento dell’istanza di
proroga della facoltà d’uso dell’altoforno n.2”. Ciò,
a parere del Tribunale, “non
implica la subordinazione dell’integrità dei lavoratori
all’interesse aziendale, ma anzi riconosce alla vita umana un
valore superiore di cento volte rispetto alla produzione annuale di
Ilva in as”. La
vita umana, che
in generale dicono abbia valore
assoluto, per
gli operai
vale solo 100 volte la produzione annuale, e il giudice ci fa già un
bel favore!
In conclusione, il rischio per gli operai c’è
sempre, ma tutti sostengono che devono piegare la testa e accettarlo
perché è subordinato ad altri interessi superiori: le quote di
mercato, il profitto. Agli operai si dice che devono essere contenti
perché la decisione del Tribunale del riesame garantisce la massima
occupazione. Ma, di fatto, neanche questa è realmente garantita,
visto che Arcelor Mittal ha messo sul piatto della bilancia, per
rimanere a Taranto, la fuoriuscita di alcune migliaia di operai.
L.R.
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