Gli specialisti dell’esercito americano al grido di prima gli americani, con un atto terroristico, per usare la loro stessa terminologia, hanno ucciso Soleimani, generale iraniano, colpendolo con un razzo a Bagdad in Iraq. La banda di borghesi americani che ha Trump come portavoce aveva bisogno di questo attacco mirato. Con il loro presidente sotto impeachment e con le elezioni alle porte avevano bisogno di una prova di forza, i soldati americani non devono essere toccati anche se sono truppe di occupazione, anche se con i loro contractors torturano ed uccidono chiunque si opponga alla loro oppressione. L’uccisione di Soleimani è stata, paradosso della realtà, un regalo alla borghesia iraniana e un aiuto a quella irachena. Cade in un momento in cui i due paesi sono da mesi sconvolti da proteste e manifestazioni, i rispettivi governi hanno sparato sulla folla, si parla di 400 e più morti per ognuno dei due stati. In Iran artefice della repressione è stato lo stesso Soleimani, in Iraq è ancora lui che si offrì pubblicamente come l’uomo capace di riportare l’ordine. Naturalmente dopo il suo assassinio è scattato il meccanismo per ricompattare tutte le classi: puntare sul nemico esterno. Quale migliore occasione per la borghesia iraniana di seppellire nel nazionalismo antiamericano ogni protesta? Quale migliore occasione per la corrotta borghesia irachena fare un po’ di antiamericanismo di facciata e sperare di superare così la crisi sociale che la sconvolge? Quale migliore prova di forza dei borghesi di Trump che quella di assassinare un generale di un paese nemico, quasi a casa sua, sfidando senza paura le possibili reazioni?
Ma non è andata bene per nessuna delle bande in campo, non è andata come speravano. Negli Stati Uniti più della metà degli intervistati si è detta contraria all’azione, una parte potente della borghesia ritiene che la guerra vada condotta con altri mezzi, si è prodotto un movimento contrario, pacifista che si è manifestato in molte città statunitensi. La propaganda di aver colpito un pericoloso terrorista non ha funzionato.
La borghesia iraniana ha sollevato le piazze sull’onda dell’antiamericanismo, ha promesso fuoco e fiamme. Una vendetta esemplare. La rabbia sociale andava distolta, dal rancore verso il regime che aveva represso le rivolte verso gli americani assassini. Ma tutto si è concluso con una sceneggiata, i militari iraniani hanno concordato col “nemico” modi e tempi della ritorsione, i comandi americani sono stati avvisati un’ora prima e i soldati, tutti, si sono ritirati dalle basi che dovevano esser colpite. Trump ha twittato, poche ore dopo il lancio di missili iraniani “tutto a posto, viva il popolo e il governo iraniano”.
La borghesia irachena ha timidamente votato in parlamento un appello al ritiro delle truppe straniere, ma i nostri telegiornali in Italia ripetono che non è vincolante. Il parlamento iracheno è di serie B, vota all’unanimità una risoluzione che invita tutti i soldati stranieri a tornare a casa loro, ma non conta niente, si capisce perché. In Iraq, oltre agli americani, ci sono anche i soldati italiani ma questi, dicono i nostri ministri, non sono mica truppe di occupazione, addestrano e affiancano “solo” i soldati e i poliziotti iracheni impiegati a schiacciare le proteste di piazza a Bagdad e in decine di città in tutto l’Iraq, provocando fra i manifestanti centinaia di morti.
In questo gioco di provocazioni e contro ritorsioni, di bracci di ferro per decidere chi comanda nell’area ci hanno rimesso le penne 177 passeggeri di un aereo di linea abbattuto a Teheran dallo stesso esercito iraniano. Il governo ha dapprima mentito addossando la colpa ad un guasto, poi non ha potuto fare a meno di riconoscere le proprie responsabilità. La protesta contro il governo è ripresa immediatamente, i manifestanti gridano “il nemico è qui”, lo stesso esercito di cui Soleimani era generale spara addosso ai manifestanti. Trump manda un messaggio di appoggio alle proteste, sfrutta l’occasione, sperando che questi movimenti indeboliscano i governi avversari, ma deve stare attento alle proteste contro di lui che il suo atto terroristico contro l’Iran ha sollevato.
La frattura entro ogni paese fra gli strati più immiseriti della popolazione e le classi dominanti è un dato della realtà, la propaganda nazionalista non è riuscita a “ricomporre”, né in America né nei paesi del medio oriente, una unità fasulla tra le classi contrapposte, e ciò è assolutamente un bene. Se in ogni paese dove dominano i padroni e i loro funzionari politici si gridasse “il nemico è a casa nostra”, ai rischi di guerra per dividersi il bottino si risponderebbe con una solidarietà internazionale di tutti gli sfruttati. Sono le rivoluzioni degli operai e dei poveri che impediscono le guerre imperialiste, non certo gli appelli alla pace degli “uomini di buona volontà”.
E.A.
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