Racconto della realtà operaia in fabbrica, ma non per suscitare qualche compassione meravigliata di chi sta in alto. Serve solo come specchio per noi stessi, nella condizione di altri come noi scopriamo la nostra stessa schiavitù.
Oggi
parliamo di una ditta nella provincia di Bergamo, duecento
dipendenti, fatturato da milioni di euro, consociate in varie parti
del mondo. Sul sito ufficiale della ditta scopriamo che negli ultimi
vent’anni da ditta artigianale si è trasformata in ditta
internazionale. Le redini dell’azienda le tiene una signora, è lei
che presiede i rapporti “internazionali”, ma anche quelli
interni, compreso i rapporti con i dipendenti.
Qualche anno fa,
i dipendenti più giovani vengono a conoscenza che una parte dei
dipendenti più anziani gode di un premio dato dalla signora padrona
anni prima. In teoria, a parità di lavoro dovrebbe corrispondere
parità di salario, almeno nella stessa ditta. Si rivolgono alla
padrona, chiedendo che il loro stipendio venga parificato con quelli
che usufruiscono del premio. La padrona, che nel frattempo è
diventata “internazionale”, risponde che non ne vuol sapere. A
questo punto gli operai si rivolgono al sindacato, che dopo inutili
trattative proclama lo sciopero. Il gioco si fa duro, la padrona
“internazionale” non molla, e neanche gli operai. Gli scioperi
continuano.
A questo punto la P.I. (padrona internazionale)
gioca pesante e fa partire i licenziamenti per tutti gli operai che
in quel momento avevano scioperato. Il sindacato naturalmente, come
al solito, sceglie la via istituzionale e fa causa all’azienda. Da
qualche anno le cause per licenziamento non seguono le stesse regole
delle altre cause, se il giudice stabilisce che l’operaio ha
ragione, il padrone non ha comunque torto, ma è tenuto solo a pagare
al massimo 24 mensilità. L’operaio è per strada.
La P.I. a
questo punto gioca un’altra carta. Accetta il ritiro del
licenziamento per alcuni, solo se gli operai ritirano la causa e
rinunciano chiaramente a quel premio che avevano chiesto. I più
“cattivi” vengono spazzati via. Per il resto rimane la carta del
tribunale, che nel migliore dei casi gli darà diritto a 24
mensilità.
Gli operai ricattati naturalmente accettano, chi
dovrebbe difenderli non gli dà nessuna alternativa. Il sindacato non
solo non fa nulla, ma neanche denuncia il malfatto.
Oggi questi
operai si ritrovano con salari differenziati, ricattati e abbandonati
dal sindacato, la P.I. ha chiesto in cambio del reintegro, che il
sindacato non entri più nella ditta. Una ditta di duecento operai
che deve trattare con la P.I. individualmente senza nessuna
protezione. Ma non è finita, per ritorsione gli ha tolto anche la
macchinetta del caffè. L’unica pausa che gli operai possono fare è
quella per il pranzo.
Su internet, dove apparentemente si può
trovare di tutto, non compare nulla di tutto questo. La rete è un
mezzo di comunicazione di una marea di stupidate, dove non mancano
certo informazioni serie, ma sicuramente la voce degli operai è
presente in minima parte, spesso in modo anonimo. I padroni
internazionali e nazionali hanno vita facile, gli dà
fastidio anche un sindacato che più che seguire le vie istituzionali
create ad hoc per i padroni, non fa. Oggi gli operai per portare a
casa il salario, oltre ad accettare discriminazioni, devono accettare
anche di non fare una pausa per bere un caffè. E intanto i padroni
fanno la bella vita…
A.B.
P.S. Siamo costretti anche noi a nascondere il nome della ditta per evitare ulteriori ritorsioni, nell’epoca di Internet ci tocca raccontare con la lingua degli schiavi
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