Braccianti tentano di uscire dalla zona rossa. Lo hanno fatto per andare ad ammazzarsi di lavoro per quattro soldi nei campi. La responsabilità prima è dei padroni agricoli, ma conviene ai
cittadini d’onore prendersela vigliaccamente con i più poveri.
“Una volta era un paradiso”. Cinquanta chilometri di costa da
Pozzuoli a Baia Domizia. Una distesa di dune, specchi d’acqua dolce
in prossimità della costa e campagne a perdita d’occhio fino a
Caserta, nell’interno. Una zona quasi incontaminata per
secoli.
Negli anni sessanta l’inizio della speculazione
edilizia legata al turismo, con le casette e i centri di
villeggiatura per la piccola borghesia dell’interno, quasi tutte
abusive, per la gran parte costruite su terreno demaniale.
Alla
fine degli anni settanta era già diventata una zona invivibile.
Un
destino simile a quasi tutte le coste sabbiose del sud Italia.
Dopo
l’80, con il pretesto del terremoto, divenne uno dei luoghi di
concentrazione dei poveri di Napoli, espulsi dal centro storico.
Collateralmente allo sviluppo edilizio a fini turistici, che si
è consumato nell’arco di un ventennio con la scia di disastri
ambientali e case abbandonate pochi anni dopo essere state costruite,
si è sviluppata nell’immediato entroterra, una agricoltura
intensiva insieme all’allevamento dei bufali per la produzione
della materia prima per i caseifici che producono
mozzarella.
L’attività agricola e zootecnica ha sempre di più
attirato masse di operai agricoli stagionali, e qui nel sud la bella
stagione, per modo di dire, dura a lungo. Col tempo si è costituita
una delle comunità africane più numerose con una parte stabilmente
residente nella zona, e un’altra fluttuante, legata
all’agricoltura.
Gli africani, e dopo di loro anche gli
immigrati dall’est Europa che sono seguiti, hanno occupato le case
vacanza abusive ormai fatiscenti abbandonate dalla piccola borghesia.
Quasi sempre, con un contratto legale di affitto che nasconde il sub
affitto a decine di persone concentrate in pochi metri quadrati.
Nel
complesso, si è venuta a creare una situazione tipica della società
capitalistica sopravvissuta a se stessa immortalata nei film sul
futuro. Una bolgia di speculatori, sottoproletari nostrani e
stranieri, prostitute e spacciatori, camorristi, operai agricoli,
discariche abusive e ritrovi di lusso in qualche spezzone bunker di
costa rimasto, per qualche riccone. Una “popolazione” che
rappresenta almeno il doppio di quella che risulta dai censimenti
ufficiali.
Una realtà conosciuta, immortalata da film,
documentari, libri, ma rimasta nella sostanza sempre la stessa.
Perché?
Il motivo sono i braccianti. Sono loro la fonte
principale della ricchezza attuale.
Migliaia di loro che ogni
anno, e per lunghi periodi, lavorano per 10-11 ore al giorno con una
paga, attualmente, di 20-30 euro, tolta la trattenuta per il caporale
che arriva fino a 5 euro e che ufficialmente spesso viene pagata per
il trasporto; anche se in periodo di coronavirus, in campagna, si va
in bici per sfuggire ai controlli.
E’ questa massa di schiavi
il fulcro degli stranieri della Domiziana. E i profitti che derivano
dal loro sfruttamento sono il vero motivo per cui anche le
conseguenze secondarie del fenomeno, il proliferare di un
sottoproletariato straniero organizzato nello spaccio della droga e
nella prostituzione, non vengono affrontate decisamente anche in un
periodo come questo, dove la piccola borghesia reazionaria cerca di
dare un po’ di smalto all’idea di razza italica.
Questa
massa di schiavi non può, e non deve essere regolarizzata. Se
emergesse ufficialmente, bisognerebbe organizzare strutture di
sopravvivenza almeno umane, si dovrebbe vedere per forza il lavoro
nero, la schiavitù di migliaia di individui che la patina perbene
del sistema capitalistico non può riconoscere e delega la gestione
dei palliativi da mettere in campo al buon cuore di qualche
associazione che vive di assistenzialismo.
Quella che è la
normalità accettata nei periodi ordinari, diventa un problema però,
con la pandemia.
In uno dei ghetti per schiavi e sottoproletari
di Mondragone, è stato individuato un “focolaio” di infezione
nel quartiere “bulgaro” dei palazzoni fatiscenti dell’ex
quartiere Cirio abitato principalmente da cittadini dell’Est
Europa, per lo più operai stagionali. Sono state individuate alcune
decine di casi, ma il problema è sicuramente di proporzioni più
grandi. La gran parte degli abitanti del quartiere ha cercato di
evitare i controlli e si è dileguata. Essere individuati significa
essere messi in quarantena e addio alla stagione di lavoro. Il che la
dice lunga sulle condizioni di questa gente. Altro che “assistiti”
“scansafatiche” e “delinquenti”, concetti chiave dei
discepoli del grande pensatore Salvini per definire gli stranieri
poveri che vengono in Italia. Pur di lavorare per sopravvivere, anche
nelle condizioni schiavistiche che vengono loro imposte, questi
operai sono anche disposti a rischiare il contagio.
Anche le
istituzioni ci vanno caute. Siamo nel pieno della stagione del
raccolto. Dall’altra parte ci sono quelli che ancora vivono di
turismo e vedono andare in fumo i già magri guadagni che prevedevano
e ora si mobilitano contro gli “zingari”.
Anche il
“decisionista” De Luca tergiversa. Di fronte ai profitti dei
padroni fa sempre così. Qui ci sono in ballo gli interessi dei
padroni agricoli che sono quelli più importanti per la zona. Lo
stesso atteggiamento lo ha avuto nei confronti degli industriali
della Leonardo, dell’Avio o della FCA di Pomigliano che sono
rimaste aperte fino a quando si facevano gli affari, anche in piena
pandemia, con la responsabilità del prefetto e il disinteressamento
del governatore che, mentre vedeva il singolo bagnante su una
spiaggia deserta e lo faceva inseguire dai mai così solerti “tutori
dell’ordine” che applicavano le norme da lui stabilite, diventava
improvvisamente cieco di fronte a migliaia di operai concentrati in
ambienti pericolosi per produrre materiali per aerei o automobili
completamente inutili in questa fase.
F.R.
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