La situazione dei rifiuti in Campania e’ scoppiata in tutta la sua gravita’. Ma a leggere i giornali e a sentire la televisione si ricava solo una parziale idea di quello che e’ successo e di quello che attualmente succede in Campania. La monnezza sembra una spy story moderna. C[k]e’ infatti una intricata rete di interessi dietro l[k]emergenza rifiuti. Il Presidente della Regione Campania Bassolino si difende dicendo che la sua unica responsabilita’ risiede nel non aver tempestivamente definito l[k]impiantistica per chiudere il ciclo integrato dei rifiuti. Sembra una barzelletta.
In realta’ il ciclo dei rifiuti non si e’ chiuso ma nemmeno aperto. Quello che e’ rimasto in piedi e’ l[k]enorme business: circa un miliardo di euro spesi finora senza concludere nulla.
Basta leggere l[k]inchiesta parlamentare sui rifiuti in Campania per avere una idea di quello che e’ successo. La realizzazione del piano dei rifiuti e’ stata affidata ad una impresa del gruppo Impregilo, la Fibe, controllata dalla famiglia Romiti. La gara e’ stata vinta non per la qualita’ tecnica dell[k]offerta ma sulla base dell[k]economicita’ e dei ridotti tempi di realizzazione degli impianti. Nell[k]inchiesta parlamentare si legge:[k] Riassumendo, i punti di criticita’ relativamente ai criteri di aggiudicazione possono essere individuati:1. nella scarsa rilevanza attribuita alla valutazione in merito alla qualita` tecnica dell[k]impiantistica proposta, in relazione alle tecnologie di realizzazione degli impianti di termovalorizzazione; conseguentemente, la gara consentiva l[k]aggiudicazione anche a soggetti che, pur avendo presentato un progetto di modesta qualita’ tecnica, avessero offerto un prezzo ed una tempistica competitive rispetto ad altri concorrenti[k].
Entrambi i criteri sono stati disattesi. Le lungaggini nella realizzazione degli impianti e la contestuale chiusura delle discariche per raggiunta capacita’ hanno aggravato il tutto. La fibe dal canto suo, si e’ concentrata quasi unicamente sulla costruzione dei 7 impianti di CDR. Tale scelta e’ dettata dal business. Gli impianti per la produzione del Combustibile da rifiuti (CDR), che viene poi successivamente utilizzato per alimentare il termovalorizzatore, e’ l[k]attivita’ piu’ redditizia dell[k]intero ciclo. La produzione delle ecoballe sono state infatti un vero maxi-business per l[k]impresa che, trascurando tutte le altre fasi del processo e producendo milioni di tonnellate di ecoballe, ha introitato milioni di euro con andamento esponenziale. Piu’ ecoballe, piu’ terreni e aree da gestire, piu’ soldi. Ma siccome per produrre un vero combustibile da rifiuti bisognava allestire tutta la fase precedente del ciclo dei rifiuti e in particolare: raccolta differenziata, isole ecologiche per la raccolta e lo stoccaggio di frazioni differenziate, aree di trasferenza dei rifiuti, impianti di compostaggio per il recupero della frazione organica e di selezione delle frazioni secche, solo alla fine sarebbe stato possibile procedere ad un prodotto combustibile utile per essere impiegato in termovalorizzatori. Nulla di tutto questo e’ stato fatto: il risultato e’ che i rifiuti non differenziati sono stati impacchettati e stipati. Le ecoballe sono dunque una immensa discarica imballata.
Per la Fibe questo ha significato evitare i costi della differenziazione, intascando profitti piu’ alti.
Cosi l[k]inchiesta parlamentare: [k]questa Commissione ha raggiunto la comune valutazione [k] gia’ sopra illustrata [k] che il CDR prodotto non risponde ai requisiti richiesti: tra le molte [k] anomalie [k], nelle ecoballe sono state rinvenute percentuali di arsenico superiori ai limiti imposti, oltre che ad oggetti interi (ad esempio, una ruota completa di cerchione e pneumatico), fatto questo che acclara l[k]omissione della fase della lavorazione; inoltre la frazione umida ha presentato valori superiori ai limiti previsti nella tabella. Anche il sovvallo e la FOS sono risultati irregolari, ad ulteriore conferma che la gestione del ciclo integrato non e` riuscita a rispettare il contratto sin dal momento del conferimento del rifiuto da parte dei Comuni. Situazione che non puo’ certo essere spiegata unicamente in riferimento all[k]emergenza nell[k]emergenza (connessa ai sequestri delle discariche soprarichiamati) o come risultato di una cattiva metodologia di raccolta differenziata, ma che finisce per apparire vulnus strutturale del progetto, sia in relazione all[k] adeguatezza tecnica degli impianti, che avuto riguardo al know how di settore che si sarebbe dovuto richiedere e pretendere dalla societa` affidataria[k].
Dunque dopo 14 anni ci si ritrova con un ammasso di rifiuti indifferenziati, un vulnus strutturale degli impianti realizzati spesso con tecnologie arretrate, un impianto di termavolarizzazione inadeguato tecnologicamente e privo di valutazione di impatto ambientale, un ciclo dei rifiuti tutto da ricostruire, e una azienda che ha lucrato milioni di euro senza che nessuno chiedesse conto del suo operato.
Fin qui la Fibe e soci.
L[k]affare rifiuti nell[k]elite campana.
La struttura del commissariato dei rifiuti e’ diventata in Campania una vera Holding che ha ingrassato a suon di milioni di euro tecnici, professori universitari, professionisti, esperti di vario tipo, imprese coinvolte nella gestione dei rifiuti, personaggi politici e sottobosco della politica.
Per finanziare la struttura commissariale sono stati prosciugati i fondi destinati ad acque e bonifiche, nonche’ le risorse europee, il grande vero business della borghesia e del ceto medio in Campania. In piu’ sono stati assunti 2316 lavoratori per realizzare la raccolta differenziata che non ha mai preso il via.
Gli stipendi dei dirigenti del commissariato sono passati da 16.638,00 euro del 1998 a 1.140.000,00 euro del 2003. In consulenze sono stati erogati fino al 2004 8,8 milioni di euro. La struttura commissariale ha inoltre finanziato progetti versando, euro 204.516 al Dipartimento di Ingegneria dei Trasporti dell[k]Universita`Federico II, euro 164.853 al Dipartimento di Informatica del medesimo ateneo, euro 101.554 al Dipartimento di Scienze Ambientali della Seconda Universita`.
Il subcommissario per la progettazione e realizzazione degli interventi di collettamento del territorio del comune di Napoli, nominato nel 2001, ha ricevuto un compenso di 400.000,00 euro. Nel 2002 viene affidata ad una societa’ mista denominata P.A.N., con un contratto di 3 milioni di euro, il progetto di realizzare un call center ambientale giustificando il tutto con la solita urgenza richiesta dalla situazione rifiuti. Nell[k]inchiesta parlamentare inoltre si legge: [k]Quanto alla Provincia, e’ interessante sottolineare che, nel verbale dell[k]assemblea della societa’ PAN del 9 giugno 2004 si da` atto che [k] perviene lettera del Presidente della Provincia di Napoli prof. Amato Lamberti in cui si ribadisce la volonta` positiva di acquisire una quota del pacchetto azionario [k].
Lo stesso Amato Lamberti ricoprira’ la carica di Amministratore Delegato di PAN (di nomina del socio privato) dal 4 maggio 2005 al 18 luglio dello stesso anno[k].
L[k]elenco potrebbe essere infinito: l[k]emergenza rifiuti e’ stata per molti un grande affare, in particolari per le classi dirigenti che hanno gestito per 15 anni il ciclo dei rifiuti. Una classe borghese arruffona e predatrice ha intascato milioni di euro lasciando dietro di se’ un cumulo enorme di monnezza putrida.
Il ruolo della camorra e delle imprese
L[k]analisi sui rifiuti in Campania non puo’ completarsi senza considerare il ruolo che un[k]altra parte della borghesia campana ha avuto nella gestione dei rifiuti: la camorra.
Il meccanismo collaudato da decenni e’ semplice: la camorra ha organizzato un gigantesco business nella gestione dei rifiuti tossici importando a bassi costi i rifiuti industriali delle imprese italiane localizzate per lo piu’ al Nord.
Saviano, nella sua inchiesta sui rifiuti pubblicata sull[k]Espresso, ricostruendo da fonti giudiziarie il business della camorra, scrive: [k]I traffici di rifiuti tossici hanno visto il sud Italia essere il vero luogo dove far ammortizzare i prezzi elevati dello smaltimento. La camorra ha fatto risparmiare capitali astronomici alle imprese del nord Italia. Secondo le Procure di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere, 18 mila tonnellate di rifiuti tossici partiti da Brescia sono stati smaltiti tra Napoli e Caserta. In quattro anni un milione di tonnellate sono tutte finite a Santa Maria Capua Vetere. I rifiuti trattati negli impianti di Milano, Pavia e Pisa sono stati sotterrati in Campania. L’inchiesta Madre Terra scopri che in soli 40 giorni oltre 6.500 tonnellate di rifiuti dalla Lombardia giunsero a Trentola Ducenta, vicino a Caserta: 500 tonnellate solo da Milano. E ancora nel casertano e nel napoletano i Nas hanno scoperto rifiuti prodotti da petrolchimici storici come quello dell’ex Enichem di Priolo, fanghi conciari della zona di Santa Croce sull’Arno, fanghi dei depuratori di Venezia e di Forli di proprieta’ di societa’ a prevalente capitale pubblico. Grazzanise e’ stata prediletta per sversare i fazzoletti usati per asciugare le mammelle delle vacche venete munte, Capua per i toner delle stampanti, a ogni luogo i clan hanno fatto adottare un veleno. I traffici di rifiuti illegali hanno anche permesso ai clan di interagire in assoluto monopolio con gli imprenditori che gestiscono l’aspetto legale della faccenda[k].
In pratica, il presupposto del funzionamento corretto della gestione dei rifiuti nelle regioni del nord, e’ stato l[k]avvelenamento di intere parti di territorio campano, con il risultato che tutte le indagini scientifiche sostengono l[k]enorme sproporzione di malattie tumorali in Campania e malformazioni fetali.
La grande e media borghesia industriale del nord, che smaltisce da anni tutta la monnezza tossica prodotta nelle loro imprese, grida ora allo scandalo sui rifiuti in Campania, trincerandosi dietro le virtu’ della razza padana.
Ma il risultato di tutta questa vicenda e’ che dopo anni di assoluto silenzio e dopo che il governo ha ignorato del tutto la vicenda rifiuti si decide di riaprire le discariche. Le quali discariche sono quasi tutte concentrate in prossimita’ di quartieri popolari o di zone periferiche gia’ abbondantemente avvelenate dai rifiuti tossici sversati negli anni precedenti.
Dopo che la borghesia locale e nazionale si e’ arricchita facendo ingoiare i rifiuti nelle discariche gestite dalla camorra e in quelle legali o nelle strade, come succede da diversi anni a Napoli, alle classi subalterne tocca pagare il conto. E cosi, mentre interi quartieri popolari sono assaliti dalla monnezza e dalla diossina provocata dagli incendi, i quartieri borghesi continuano a vivere senza un briciolo di spazzatura. Ma non basta: i disperati dovranno anche subire la riapertura delle discariche contro ogni indicazione di tutela ambientale e sanitaria. Le discariche sono stracolme e pericolose per i biogas sprigionati dai rifiuti tossici imprigionati nei terreni.
Le proteste che si sono sviluppate in questi giorni dimostrano che la misura e’ colma. La [k]plebe[k] napoletana, come la definisce Corrado Augias, e’ giunta sul punto dell[k]insorgenza. Interi quartieri sono stati messi sotto controllo dai manifestanti che hanno estromesso le forze dell[k]ordine e costruito barricate ovunque fosse possibile. In alcuni giorni si e’ respirato l[k]aria di una vera e propria insurrezione. Il governo pensa di ricorrere all[k]esercito. Ma l[k]interrogativo che a tutti si pone e’ questo: nella metropoli del meridione si respira una brutta aria. E i rifiuti rischiano di far scoppiare una pentola che contiene una enorme quantita’ di fame, disperazione e insorgenza sociale.
Sezione AsLO di Napoli
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