L’Ilva/Italsider e’ stata una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del XX secolo. La sua storia e’ quasi centenaria e ha avuto inizio ai primi del secolo per concludersi a fine anni ottanta.
Nata per iniziativa di industriali del settentrione d’Italia come ILVA (nome che ha poi riacquistato dagli anni novanta), con la nascita dell’IRI la societa’ e’ passata poi sotto il controllo pubblico impiantando stabilimenti a Genova-Cornigliano, Taranto e Napoli-Bagnoli. Negli anni sessanta e’ diventato uno dei maggiori gruppi dell’industria di stato.
A fine anni ottanta, con la crisi del mercato dell’acciaio, e dopo diverse traversie economico-finanziarie – culminate nel 1983 nella liquidazione volontaria e la conseguente cessione alla Finsider della partecipazione azionaria nella Nuova Italsider[1], l’Italsider e’ rinata con la costituzione del consorzio COGEA come Nuova Italsider Acciaierie di Cornigliano per poi essere rilevata, con l’originario nome di ILVA, dal gruppo siderurgico Riva.
L’operazione di cessione a privati dello storico complesso – un tempo colosso della siderurgia – ha destato polemiche e perplessita’ in special modo fra dirigenza industriale, amministratori pubblici e popolazioni delle aree in cui si trovavano gli insediamenti produttivi, zone fortemente minate dall’inquinamento industriale provocato dalla presenza di altiforni. [senza fonte]
Con gli anni novanta e’ iniziata la laboriosa opera di dismissione degli impianti produttivi e una riconversione delle aree precedentemente occupate dagli insediamenti siderurgici.
Origini [modifica]
L’atto di costituzione dell’ILVA, avvenuto nel capoluogo ligure, risale al 1[k] febbraio 1905 dalla fusione delle attivita’ siderurgiche dei gruppi Elba (che operava a Portoferraio), Terni e della famiglia romana Bondi, che aveva realizzato un altoforno a Piombino. Il capitale sociale iniziale era di dodici milioni di lire e di esso facevano parte la societa’ Siderurgica di Savona (controllata dalla societa’ Terni), la Ligure Metallurgica e, in forma diretta, la stessa Terni. Successivamente si aggiunse al capitale iniziale – portandolo a venti milioni – quello della Elba, il cui ingresso veniva a completare la compagine societaria.
Il gruppo base Terni-Elba – attivo nel settore dell’estrazione del minerale di ferro soprattutto nell’isola d’Elba – era controllato da esponenti della finanza genovese[2] che intendevano sfruttare le agevolazioni programmate con la legge per il risorgimento economico di Napoli – varata nel luglio 1904 – che prevedeva l’installazione entro il 1908 di un grande impianto a ciclo integrato a Bagnoli[1].
L’Ilva era stata costituita, con il sostegno governativo, per realizzare il polo siderurgico di Bagnoli, nell’ambito dei piani per lo sviluppo dell’industrializzazione nel napoletano elaborati dall’allora deputato Francesco Saverio Nitti; questo le permetteva di ricevere forniture di minerale di ferro a prezzo agevolato e di godere di forti barriere doganali che la proteggevano dalla concorrenza delle piu’ efficienti imprese siderurgiche straniere.
Targa metallica posta sul ponte ferroviario della ferrovia Padova-Bologna che attraversa il fiume Adige tra Granzette, frazione di Rovigo, e Boara Pisani.
L’azione di dumping messa in atto dai concorrenti esteri – che si sarebbe rivelata al pari dannosa ottant’anni dopo, decretando il definitivo stato di crisi del settore acciaio – fece subito capire che l’azione della nuova societa’ non sarebbe stata tuttavia agevole.
Nel periodo della prima guerra mondiale, per sfruttare le opportunita’ offerte dalle commesse belliche, l’Ilva si integro’ a valle acquisendo aziende cantieristiche ed aeronautiche; questo richiese ingentissimi investimenti e conseguenti debiti, che, a guerra finita, misero l’Ilva in gravi difficolta’ finanziarie.
L’ingresso nell’IRI e gli anni di Italsider [modifica]
Nel 1921 la Banca Commerciale Italiana, il maggior creditore dell’azienda, ne rilevo’ la proprieta’ assieme a quella di numerose imprese siderurgiche minori. Con la costituzione dell’IRI l’Ilva e tutte le altre imprese possedute dalla Banca Commerciale passarono in mano pubblica: tutta la siderurgia italiana a ciclo integrale (altiforni di Portoferraio, Piombino, Bagnoli e Cornigliano) era posseduta dallo Stato attraverso l’IRI.
Con l’immediato secondo dopoguerra, e grazie soprattutto alla conseguente espansione della domanda di acciaio per l’industria automobilistica e dell’elettrodomestico, l’Ilva aveva avuto agio di rafforzare – passando nel frattempo sotto il controllo pubblico attraverso la finanziaria Finsider – la propria predominanza sul mercato.
Punto di forza del nuovo fausto periodo era lo stabilimento “Oscar Sinigaglia”[3] di Cornigliano, in Val Polcevera.
Altoforno in dismissione a Cornigliano (Genova)
Nel 1961 con la costruzione del nuovo polo siderurgico di Taranto l’Ilva prese il nome di Italsider.
La liquidazione di Italsider: il ritorno a Ilva [modifica]
La successiva crisi del settore, registrata negli anni 1980, ne ha poi provocato un grave stato di crisi.
La denominazione Ilva fu ripresa nel 1988 quando Italsider e Finsider furono messi in liquidazione e scomparvero. La “nuova” Ilva fu smembrata alla vigilia del processo di privatizzazione; gia’ ceduto l’impianto di Cornigliano e chiuso quello di Bagnoli, l’acciaieria di Piombino fu venduta al gruppo bresciano Lucchini, mentre l’attivita’ piu’ significativa, il grande polo siderurgico di Taranto, passo’ nel 1995 al Gruppo Riva.
Impatto ambientale [modifica]
L’Ilva e’ al centro di un vasto dibattito per il suo impatto ambientale sia a Taranto sia a Genova. Le sue emissioni sono state oggetto di diversi processi penali per inquinamento che si sono conclusi in alcuni casi e gradi di giudizio con la condanna di Emilio Riva e di altri dirigenti.
Genova [modifica]
A Genova nel 2002 sono state chiuse le cokerie per il loro impatto sulla salute, in particolare nel quartiere di Cornigliano, nelle cui vicinanze sorge lo stabilimento siderurgico. Uno studio epidemiologico[4] ha evidenziato una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore od uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici ed effetti sulla salute. Lo studio epidemiologico attesta che nel quartiere di Cornigliano nel periodo 1988-2001, la mortalita’ complessiva negli uomini e nelle donne risulta costantemente superiore al resto di Genova. Nel luglio 2005 e’ stato spento anche l’altoforno numero 2 dello stabilimento di Cornigliano. Finisce l’era della siderurgia a caldo a Genova con notevole abbattimento dell’inquinamento.
Taranto [modifica]
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Stabilimento Ilva di Taranto, dicembre 2007
A Taranto una situazione analoga si prospetta per il quartiere Tamburi, nelle cui vicinanze opera lo stabilimento siderurgico: sono considerati particolarmente inquinanti i parchi minerali, le cokerie e il camino E312 dell’impianto di agglomerazione. Nel 2012 sono state depositate preso la Procura della Repubblica di Taranto due perizie (una chimica e l’altra epidemiologica) nell’ambito dell’incidente probatorio che vede indagati Emilio Riva, suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell’area agglomerato. A loro carico sono ipotizzate le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.[5] Nella prima perizia, sulle emissioni, si legge che nel 2010 Ilva ha emesso in aria le seguenti sostanze convogliate (tabella A-1 della perizia):
4.159.300 kg di polveri;
11.056.900 kg di diossido di azoto;
11.343.200 kg di anidride solforosa;
7.000 kg di acido cloridrico;
1.300 kg di benzene;
338,5 kg di Idrocarburi Policiclici Aromatici;
52,5 g di Benzo(a)pirene;
14,9 g di policlorodibenzodiossine (abbreviato in diossine) e policlorodibenzofurani;
280 kg di cromo III (cromo trivalente);
Inoltre, da dichiarazione E-PRTR della stessa ILVA (tabella C-1 della perizia):
172.123.800 kg di monossido di carbonio;
8.606.106.000 kg di biossido di carbonio;
718.600 kg di composti organici volatili non metanici;
8.190.000 kg di ossidi di azoto;
7.645.000 kg di ossidi di zolfo;
157,1 kg di arsenico;
137,6 kg di cadmio;
564,1 kg di cromo;
1.758,2 kg di rame;
20,9 kg di mercurio;
424,8 kg di nichel;
9.023,3 kg di piombo;
23.736,4 kg di zinco;
15,6 g di diossine;
337,7 kg di IPA;
1.254,3 kg di benzene;
356.600 kg di cloro e composti organici;
20.063,2 kg di fluoro e composti organici;
1.361.000 kg di polveri.
A tali emissioni convogliate, vanno sommate tutte quelle non convogliate, cioe’ disperse in modo incontrollato, la cui quantita’ e’ riportata nella perizia nelle tabelle A-III, B-III, C-III, D-III, E-III, F-III, G-III, H-III, I-III, e riguardano sostanze come tutte quelle suddette, in aggiunta ad acido solfidrico, vanadio, tallio, berillio, cobalto, policlorobifenili (PCB) e naftalene. La fuoriuscita di gas e nubi rossastre dal siderurgico (slopping) e’ un fenomeno documentato dai periti chimici e dai NOE di Lecce. Come da risposta al quesito II della perizia sulle emissioni, la diossina trovata nel corpo degli animali, abbattuti gli anni precedenti proprio perche’ contaminati, e’ risultata essere la stessa diossina emessa dai camini del polo siderurgico. Per cio’ che riguarda la perizia epidemiologica, i periti nominati della Procura di Taranto hanno quantificato, nei sette anni considerati:
un totale di 11550 morti, con una media di 1650 morti all’anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie;
un totale di 26999 ricoveri, con una media di 3857 ricoveri all’anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie, e cerebrovascolari.
Di questi, considerando solo i quartieri Tamburi e Borgo, i piu’ vicini alla zona industriale:
un totale di 637 morti, in media 91 morti all’anno, e’ attribuibile ai superamenti dei limiti di PM10;
un totale di 4536 ricoveri, una media di 648 ricoveri all’anno, solo per malattie cardiache e malattie respiratorie, sempre attribuibili ai suddetti superamenti [1].
Secondo i periti nominati dalla procura, la situazione sanitaria a Taranto e’ molto critica, anzi unica in Italia. [2] Gran parte delle sostanze rilevate nella perizia sulle emissioni sono state poi considerate in quella epidemiologica come “di interesse sanitario”. Gli inquinanti sono in concentrazioni piu’ elevate nei quartieri in prossimita’ dell’impianto. Le stesse concentrazioni variano nel tempo e dipendono dalla direzione del vento.
Gli esiti sanitari per cui esiste una “forte evidenza scientifica” di possibile danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:
mortalita’ per cause naturali;
patologie cardiovascolari;
patologie respiratorie, in particolare per i bambini;
tumori maligni in generale, in eta’ pediatrica (0-14 anni), tumore della laringe, del polmone, della pleura, della vescica, del connettivo, dei tessuti molli, linfomi non-Hodgkin e leucemie.
Gli esiti sanitari per cui vi e’ una “evidenza scientifica suggestiva” di un possibili danno dovuto alle emissioni del siderurgico sono:
malattie neurologiche;
malattie renali;
tumore maligno dello stomaco tra i lavoratori del complesso siderurgico.
Per quanto riguarda la diossina, gli impianti dell’Ilva ne emettevano nel 2002 il 30,6% del totale italiano, ma sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) del 2006, la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente allo spostamento in loco delle lavorazioni “a caldo” dallo stabilimento di Genova[6]. Va pero’ tenuto in considerazione il fatto che il Registro INES, non prevedendo all’epoca sanzioni per omesse dichiarazioni, e’ molto poco rappresentativo della situazione reale. I dati relativi al 2006, ad esempio, registrano le dichiarazioni di meno di 700 aziende, sulle oltre 7.000 che – secondo le stime – sarebbe state tenute a presentarle. Inoltre solo 5 hanno comunicato al registro di emettere diossina[7]. L’incidenza del 92% e’ quindi calcolata su tale esiguo numero di aziende. Ilva, nelle sue dichiarazioni ufficiali, indica nel 21% sul totale italiano la percentuale di diossine emessa dall’impianto di Taranto. Va tuttavia aggiunto che l’Ilva ha sempre sottostimato la diossina, dichiarandone al registro INES meno di 100 grammi all’anno, quando invece le rilevazioni Arpa ne hanno riscontrato circa 172 grammi anno nelle misurazioni del 2008. Le ultime rilevazioni rese pubbliche dall’Arpa Puglia, comunque, confermano il progressivo miglioramento della situazione. Dal 1994 al 2011 si e’ passati da 800 a 3,5 grammi di diossine all’anno. La media di emissione annuale di diossine e furani, nello stabilimento Ilva di Taranto, e’ stata nel 2011 pari a 0,0389 ngTEQ/Nm3, inferiori al limite di 0,4 stabilito dalla legge regionale [k]anti-diossina[k] (l.r. n. 44/2008)[3]. Tali rilevamenti, pero’, vengono effettuati non anche di notte, sempre preavvisando l’azienda, non in continuo, e soprattutto per soli dodici giorni all’anno (quattro campagne con tre rilevamenti ciascuna): quella di 0,0389 ngTEQ/Nm3 e’ una media quindi che potrebbe non fotografare esattamente la realta’, considerando anche le decurtazioni del 35% per incertezza. In ogni caso la quantita’ di diossina riversata nell’ambiente ha reso non pascolabile il terreno attorno all’Ilva nelle aree incolte. Precisamente, un’ordinanza della regione Puglia vieta il pascolo entro un raggio di 20 km attorno l’area industriale che, quindi, diventa un serio ostacolo per la crescita delle aziende zootecniche e produttrici di latte e prodotti caseari, oltre che esserlo per tutte quelle aziende di mitilicoltura, se venisse dimostrato il legame delle emissioni industriali anche con la diossina e PCB rinvenute nelle cozze.
La perizia epidemiologica si conclude con un’affermazione che sintetizza forse nemmeno completamente la reale situazione dell’area ionica: “L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.
Ordinanza di sequestro [modifica]
Il 26 luglio 2012 il GIP di Taranto dispone il sequestro senza facolta’ d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva. I sigilli sono previsti per i parchi minerali, le cokerie, l’area agglomerazione, l’area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi.[8]
Nell’ordinanza il GIP conclude che “Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attivita’ inquinante con coscienza e volonta’ per la logica del profitto, calpestando le piu’ elementari regole di sicurezza”.[9]
Il 30 luglio 2012 i carabinieri del NOE di Lecce notificano il provvedimento di sequestro.[10][11]
Unita’ produttive in Italia [modifica]
Unita’ produttiva di Taranto [modifica]
L’unita’ produttiva a ciclo integrale di Taranto dispone dei seguenti impianti:
12 batterie di forni per coke (10 in funzione)
5 altiforni (4 in funzione)
2 impianti di agglomerazione minerale (1 in funzione linee D ed E)
2 acciaierie LD:
1 LD con 3 convertitori da 330 t
1 LD con 3 convertitori da 350 t.
5 colate continue a due linee per bramme
2 treni di laminazione a caldo per nastri
2 decapaggi ad acido cloridrico
1 decatreno (decapaggio di acido cloridrico + treno di laminazione a freddo)
1 Impianto di Rigenerazione di acido cloridrico con Tre forni ad arrostimento
1 linea di elettrozincatura
2 linee di zincatura a caldo
1 impianto di ricottura statica con 54 forni e 125 basi
1 treno tandem Temper
1 treno lamiere quarto a due gabbie
1 tubificio a saldatura longitudinale ERW
2 tubifici a saldatura longitudinale SAW
1 tubificio a saldatura elicoidale SAW da nastri / lamiere (dismesso)
4 impianti per rivestimento interno ed esterno di tubi in polietilene, resine epossidiche, FBE
linee di finitura e taglio
Unita’ produttiva di Genova [modifica]
L’unita’ produttiva di Genova dispone dei seguenti impianti:
1 Linea di decapaggio ad acido solforico + 1 Linea di decapaggio ad acido cloridrico
2 Treni di laminazione a freddo
1 Linea di pulitura elettrolitica
1 Linee di ricottura continua
1 Linea di zincatura a caldo
1 Linea di zincatura a caldo + preverniciatura
2 Linee di stagnatura / cromatura elettrolitica
1 Linea di rifilatura coils
Linee di finitura e taglio
1 Treno temper
Unita’ produttiva di Novi Ligure [modifica]
Lo stabilimento ILVA di Novi Ligure
L’unita’ produttiva di Novi Ligure dispone dei seguenti impianti:
1 Decatreno (decapaggio cloridrico + treno di laminazione a freddo in linea)
1 Linea di ricottura continua
1 linea di ricottura statica a idrogeno; 24 basi 12 forni
1 Linea di zincatura a caldo
1 Linea di zincatura a caldo / alluminiatura
1 Linea di elettrozincatura
Linee di finitura e taglio:
Unita’ produttiva di Racconigi [modifica]
L’unita’ produttiva di Racconigi dispone dei seguenti impianti:
7 Linee per tubi profilati cavi saldati longitudinalmente
3 linee di taglio
Unita’ produttiva di Varzi [modifica]
L’unita’ produttiva di Varzi dispone dei seguenti impianti:
1 Linee di elettrozincatura
1 Linea di preverniciatura
Linee di finitura e taglio
Stabilimento chiuso
Unita’ produttiva di Patrica [modifica]
L’unita’ produttiva di Patrica dispone dei seguenti impianti:
1 Linea di zincatura a caldo / alluminiatura
2 Linee di finitura e taglio
Curiosita’ [modifica]
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Alla storica ILVA di inizio Novecento e’ stata intitolata a Genova una via del quartiere di Carignano, la stessa in cui si trovavano gli uffici poi spostati nella vicina via Corsica.
Nel centro direzionale di Carignano ha lavorato, a inizio anni sessanta, prima del successo televisivo del Professor Kranz a Quelli della domenica, l’attore e scrittore Paolo Villaggio. Fu quasi certamente in quella circostanza che Villaggio, impiegato nella collegata Cosider (anch’essa del gruppo Finsider), maturo’ l’ispirazione – ai tempi prima del mobbing – per i suoi personaggi letterari (e cinematografici) di maggiore successo: il ragionier Ugo Fantozzi e l’impiegato semplice Giandomenico Fracchia.
Il poeta e scrittore tarantino Pasquale Pinto (1940-2004) e’ stato operaio all’Italsider.
Il rugbista Marco Bollesan fu operaio all’Italsider di Genova; quando cambio’ squadra, questa ottenne per lui il trasferimento a Bagnoli
Veduta dal Parco Virgiliano di quanto resta dell’impianto di Bagnoli (Napoli)
Operaio dell’Italsider di Cornigliano era pure il sindacalista Guido Rossa (1934-1979), ucciso dalle Brigate Rosse. Alla sua figura e’ stato ispirato il film Guido che sfido’ le Brigate Rosse.
Primi Fuochi di Guerriglia e’ il nome della formazione armata di estrema sinistra cui sono stati attribuite azioni di disturbo allo stabilimento di Taranto durante gli anni 1970.
Ciudad Guayana e’ la citta’ del Venezuela creata in funzione del suo centro siderurgico, realizzato sull’esempio di quella che fu l’Italsider negli anni 1960.
La Fondazione Ansaldo conserva, oltre a quello di altre realta’ aziendali, il cospicuo patrimonio archivistico inerente all’Italsider.
Il critico e scrittore Carlo Vita (1925-) e’ stato capo ufficio stampa dell’Italsider, di cui ha diretto la rivista aziendale dal 1960 al 1965.
L’area dismessa di Bagnoli e’ entrata a far parte del progetto metropolitano della Ferrovia Cumana di Napoli.
La fabbrica illuminata (del 1964), e’ il titolo di un brano musicale composto da Luigi Nono (compositore). Strutturato per soprano e nastro magnetico, e’ un brano di denuncia delle pessime condizioni di lavoro degli operai nelle fabbriche durante gli anni sessanta. L’autore si reco’ personalmente nello stabilimento per incidere su nastro magnetico i rumori delle macchine in lavorazione.
Per l’edificazione dello stabilimento “Oscar Sinigaglia” di Cornigliano – e del vicino aeroporto di Sestri Ponente – si dovette abbattere – il 14 aprile 1951 – lo storico Castello Raggio.
Campagne pubblicitarie dell’italsider sono state curate dal grafico e pubblicitario genovese Marco Biassoni.
Il regista e documentarista Virgilio Tosi ha realizzato, in due riprese, una serie di mediometraggi sull’azienda: La professione di capo (1963, cinque mediometraggi), e Operazione Qualita’ (1966, tre mediometraggi).
L’impianto di Taranto fu inaugurato il 10 aprile 1965 dall’allora presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat.
Determinante fu, negli anni 1970, l’apporto economico-finanziario, nonche’ gestionale, dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale. Attraverso la controllata Finsider gestiva il comparto siderurgico, un comparto in grado di garantire al paese una produzione di acciaio pari a due terzi di quella nazionale.
Castello Raggio (Cornigliano), ai primi del Novecento
Inchieste documentaristico-giornalistiche sull’Italsider sono state condotte, fra gli altri, dalla regista Cecilia Mangini e dallo scrittore Egisto Corradi.
Il drammaturgo e regista Antonio Magliulo e’ stato premiato nel 2000 dal Circolo Italsider di Napoli per il contributo dato alla diffusione della cultura e dell[k]arte teatrale napoletana.
Pietro Porcinai (1910-1986), uno dei maggiori paesaggisti italiani, si e’ occupato fra il 1972 ed il 1973 delle opere di ristrutturazione del IV Centro siderurgico di Taranto (vedi: Economia di Taranto e Sviluppo morfologico di Taranto).
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