Lettera di Michele Michelino
Spett. redazione di Operai Contro
Abbiamo letto sul n. 163-12 del vostro giornale una critica al nostro Comitato da parte di un anonimo [k]operaio di Sesto San Giovanni[k] per una frase riportata in un nostro comunicato intitolato
Ilva: La salute si difende eliminando la nocivita’.
Da tutto lo scritto, l[k]anonimo cita la seguente frase [k]si lavora per vivere, non per morire[k] tralasciando tutto il resto.
Questa frase basta per accumunarci [k]a tutta la piccola borghesia[k] che [k]si sbraccia..per spiegare a noi operai perche’ dobbiamo lavorare[k], spiegandoci saccentemente che [k] il padrone quando non riesce a valorizzare il suo capitale ci licenzia. Ci condanna a morte[k] .
Non ci e’ dato di sapere chi sia l[k]anonimo che si firma [k]un operaio di Sesto San Giovanni[k], ma abbiamo il sospetto che con gli operai non centri nulla e che -lui si – non sia che un altro piccolo borghese arrabbiato con la sua classe.
Per correttezza vogliamo ricordare all[k]estensore della lettera (che se fosse di Sesto lo saprebbe bene) che il nostro Comitato e’ formato da operai di piccole fabbriche e dagli ex operai della fabbriche (Breda, Falck, Marelli, Pirelli e altre ancora) . Operai sfruttati in fabbrica, malati e morti a centinaia a causa dell[k]amianto e altre sostanze cancerogene usate nei processi di produzione. Operai che hanno lottato e lottano in fabbrica e nel territorio, scontrandosi col padrone e le istituzioni mettendoci la faccia, cosa che lui si guarda bene dal fare.
Certo che se costui e’ veramente un operaio, un sostenitore del partito operaio, e confonde gli operai – che nelle loro lotte possono anche commettere errori -, con la piccola borghesia, il cammino verso l[k]emancipazione proletaria e’ davvero ancora lontano! In ogni caso ci farebbe piacere conoscerlo per approfondire la discussione, dal momento che sa benissimo dove trovarci.
Per correttezza chiediamo alla redazione di pubblicare anche il nostro comunicato in modo che tutti possano giudicare se la nostra posizione rappresenta gli interessi della piccola borghesia o degli operai e dei proletari.
Per il Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Michele Michelino
Ilva: La salute si difende eliminando la nocivita’.
di Michele Michelino (*)
All[k]Ilva, come in molte fabbriche, esiste la necessita’ immediata e l[k]urgenza di intervenire con misure di protezione per bonificare la fabbrica e l[k]ambiente, sottraendo i lavoratori e i cittadini al lento – ma inevitabile – massacro cui sono sottoposti. Le prime vittime dell[k]Ilva sono gli operai che ci lavorano e le loro famiglie.
Come scrive il Tribunale del Riesame di Taranto [k]Inquinare fu una scelta[k] che impone [k]l[k]interruzione della catena dei reati ancora in atto[k]. Inquinamento attuato coscientemente con la complicita’ di istituzioni comprate a suon di [k]mazzette[k].
La contrapposizione fra difesa del posto di lavoro e del salario e salute in fabbrica e nel territorio da sempre attraversa il movimento sindacale e operaio.
Negli anni 70[k], in un[k]altra situazione economica, nelle fabbriche di Sesto San Giovanni la contraddizione fu risolta direttamente dagli operai con fermate improvvise, scioperi spontanei di gruppi di lavoratori, in particolare delle lavorazioni a caldo di forgia e fonderia (costretti a lavorare a lavorare pezzi di acciaio dai 1250 ai 1500 gradi centigradi) quando, nei mesi estivi, la temperatura sul posto di lavoro diventava intollerabile provocando continui svenimenti fra gli operai.
Queste lotte contro la nocivita’ – che non delegavano a nessuno il problema della salute in fabbrica, ne’ al padrone ne’ al sindacato, attraverso cortei interni e discussioni con tutti gli operai – costrinsero i sindacati a rincorrere gli operai anche sul problema dell[k]organizzazione capitalistica del lavoro.
All[k]Ilva i sindacati confederali, invece di intervenire nel dibattito organizzando assemblee e lotte per la tutela del posto di lavoro e della salute operaia, denunciando i rischi per la salute in fabbrica e nel territorio – da anni hanno sposato la linea del padrone della competitivita’ e della produzione ad ogni costo, ponendosi ora alla testa della mobilitazione reazionaria a favore del padrone e dei suoi leccapiedi.
La giustizia e la legge dello stato dei padroni anche in questo caso usa due pesi e due misure. Arresti domiciliari (nelle loro lussuose case) per Riva e i dirigenti responsabili della morte per cancro di migliaia di operai e cittadini. Galera per i NO TAV e coloro che hanno protestato contro il G8 di Genova.
Il dominio incontrastato del padrone nella fabbrica e nella societa’ si evidenzia con le istituzioni che si schierano sempre col padrone. Come si sapeva da anni ed ora si e’ evidenziato nelle inchieste, in questi anni politici, sindacalisti, istituzioni, tecnici, erano e sono sul libro paga o usufruiscono delle generose [k]donazioni[k] della famiglia Riva. Contributi generosi padron Riva li ha dati a tutti. Dai 245 mila euro a Forza Italia ai 98mila del (futuro segretario del Pd), Pierluigi Bersani. Persino la chiesa e la parrocchia del quartiere Tamburi negli anni 2010 e 2011 hanno goduto di queste [k]donazioni[k] in cambio dell[k]assoluzione. Con l[k]ultima donazione di 365 mila euro alla chiesa padron Riva, oltre che il paradiso, si e’ comprato la benevolenza dell[k]istituzione religiosa che nei suoi sermoni non perde occasione di magnificare la sua generosita’.
Delegare il posto di lavoro e la salute al sindacato, alle istituzioni e al padrone, e’ il modo migliore per perderli.
La difesa del posto di lavoro e della salute si realizza solo nella critica all[k]organizzazione capitalistica del lavoro, quando gli operai manifestano la loro autonomia di classe concretizzandola con scioperi contro il padrone e i dirigenti responsabili della brutalita’ delle condizioni di lavoro nocive.
Delegare al padrone e agli istituti specializzati il controllo della nocivita’ e dell[k]inquinamento ambientale sul lavoro e sul territorio e’ come legarsi al collo una corda sperando nella buona fede del boia che l[k]ha in mano.
Lottare oggi contro lo sfruttamento significa rischiare anche di perdere il posto di lavoro e un salario che, per quanto insufficiente alle necessita’ di vita permette di tirare avanti garantendo il pranzo e la cena, per quanto sempre piu’ magri, in tempo di crisi.
Astenersi dalla lotta o, peggio, lottare per difendere il proprio padrone e i dirigenti accusati della morte di centinaia di operai e migliaia di cittadini, non garantisce in ogni caso ne’ il posto di lavoro ne’ la salute.
Il sistema capitalista, nella sua ricerca del massimo profitto, distrugge gli esseri umani e la natura e non si puo’ accettare di barattare il lavoro di alcuni contro la salute di tutti.
Si lavora per vivere, non per morire! Se i padroni ci vogliono costringere a lavorare per continuare a intascare profitti facendoci rischiare la vita ogni giorno in fabbrica in reparti nocivi e inquinando il territorio, dobbiamo dire chiaramente che noi vogliamo lavorare in sicurezza e che a condizione di morte niente lavoro.
La scelta fra il morire di fame e il morire di cancro non e’ una scelta. La lotta del movimento operaio e’ da sempre una lotta contro lo sfruttamento, per eliminarne le cause, la societa’ capitalista basata sullo sfruttamento dell[k]uomo sull[k]uomo.
La salute si rivendica e la nocivita’ si elimina. Invece di fare cortei a favore del padrone, noi chiediamo la bonifica immediata dei siti inquinati e la chiusura dei reparti incriminati, con salario pieno per tutti i lavoratori interessati.
E[k] questa la lotta che vale la pena di fare.
(*) Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Sesto San Giovanni, 22 agosto 2012
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