Cari operai dell’Officina, care compagne e cari compagni
Siamo venuti dalla Svizzera tedesca per dirvi: GRAZIE. Grazie, prima di tutto per l’invito alla vostra festa, ma anche e soprattutto un grandissimo grazie, per aver avuto il coraggio di dire “NO” cinque anni fa. Senza questo vostro deciso
e collettivo “NO”, oggi l’Officina di Bellinzona non ci sarebbe già più. È stata la vostra determinazione nel prendere in mano il proprio destino, senza delegare più niente a nessuno, che vi ha reso possibile di continuare a vivere dignitosamente
del proprio lavoro, senza cadere nelle trappole di trattative e compromessi, di spostamenti di siti produttivi, di piani sociali e di elemosine dell’assistenza pubblica, di umiliazioni per chi cerca lavoro e non ne trova più.
Il vostro grido “Giù le mani dall’Officina!” è diventato il grido di battaglia di tante altre operaie e tanti altri operai, incominciando con quelli della INNSE, che hanno resistito 15 mesi al tentativo padronale di demolire la fabbrica, per fare soldi con i macchinari e con il terreno sui cui sorge la INNSE. Il vostro deciso “NO” ai piani padronali e manageriali è anche stato il motivo per la costituzione della nostra rete di solidarietà con la quale cerchiamo di collegare le lotte operaie nelle varie fabbriche.
Tre anni fa siamo venuti alla vostra festa con operaie ed operai della Serbia. Vi ricordate Zoran Bulatovic, l’operaio con il mignolo tagliato? Oggi vive in Norvergia, dove ha chiesto l’asilo politico. Dopo tante minaccie ed attacchi fisici alla sua
persona, temeva per la vita e la salute della sua famiglia. Di fronte a delle operaie e degli operai decisi a difendere i
loro diritti, i padroni non hanno mai avuto scrupoli nel difendere i loro privilegi. E lo Stato, fingendo di difendere i diritti umani e la legalità uguale per tutti, in realtà protegge soltanto la proprietà di chi vive del lavoro degli altri, mettendo allo sbaraglio tutti quelli che vivono soltanto fin quando trovano lavoro.
Quando un padrone arriva al punto di licenziare i suoi operai invece di continuare a sfruttarli, come motivo dichiara sempre uno scarso rendimento, ma spesso il vero motivo è un altro, specialmente quando si tratta di una fabbrica storica con un vasto terreno che fa gola agli avvoltoi della speculazione immobiliaria. Così è stato nel caso della INNSE, così è stato nel caso della fabbrica di cartone a Deisswil, e – come si sta vedendo – così lo è anche nel caso dell’Officina di Bellinzona! Cinque anni fa, con lo sciopero e con l’opinione pubblica a favore dell’Officina, gli avvoltoi sono stati costretti ad abbassare le ali, ma di nascosto ovviamente hanno portato avanti il loro progetto AREA, per realizzare – come dicono nel loro linguaggio – “interessanti sviluppi urbanistici”, cioè, in parole povere, per costruire appartamenti
di lusso, negozi ed altre strutture simili. Anche se questa volta, invece di parlare della chiusura dell’Officina, si parla soltanto di ,spostamento’. Il messaggio è chiaro: ,spostare’ in realtà vuol dire ,smantellare’!
Il progetto AREA è un attacco frontale, non solo agli operai dell’Officina e alle loro famiglie, ma a tutta la classe operaia!
L’Officina di Bellinzona è diventata ormai un simbolo della resistenza operaia contro la chiusura delle fabbriche.
È indispensabile che la lotta venga ripresa, e questo con la stessa determinazione di cinque anni fa. Con i nostri mezzi modesti faremo di tutto per organizzare la solidarietà oltre il San Gottardo, nella Svizzera tedesca e anche in Germania.
Ma la lotta deve ripartire da qui, dalla Pittureria! Gli operai non sono forti perché l’opinione pubblica sta dalla loro parte.
L’opinione pubblica sta dalla parte degli operai, se loro agiscono in proprio manifestando la propria forza. Questo si è visto a Bellinzona cinque anni fa, questo si è visto poi alla INNSE di Milano, e si è visto anche in tanti altri casi dove
però purtroppo le battaglie sono state perse, perché gli operai si sono fidati della politica e dell’opinione pubblica.
Cinque anni fa il signor Meyer aveva detto che lo sciopero era illegale. Ma quando oltre dieci mila persone sono scese in piazza, più nessuno ha parlato di ‘sciopero illegale’. L’esempio mette in chiaro che la legalità è nient’altro che il rapporto di forza tra le classi sociali. Se gli operai si lasciano ingannare dalla legalità borghese, in realtà permettono soltanto al nemico di fissare le regole. L’iniziativa popolare per un ‘Polo tecnologico’, firmata da oltre 15 mila persone, dopo cinque anni non è ancora stata passata alla votazione popolare. E non succederà neanche in futuro, se non prima scendete di nuovo in campo voi operai dell’Officina, manifestando la vostra forza, allo stesso modo e con la stessa determinazione di cinque anni fa.
Giù le mani dalle fabbriche! GIU LE MANI DALL’ OFFICINA DI BELLINZONA!
Intervento della “rete lotte operaie” alla festa dell’Officina, 9 marzo 2013
contatto: [email protected]
Liebe Arbeiter der Officina! Liebe Genossinnen und Genossen!
Wir sind gekommen, um Euch zu danken. Vorerst einmal für die Einladung zu Eurem Fest, aber auch und vor allem dafür , dass ihr vor
fünf Jahren den Mut gehabt habt, Nein zu sagen. Ohne dieses entschlossene und kollektive
Nein gäbe es heute die Officina von Bellinzona
nicht mehr. Eure Entschlossenheit, das Schicksal in die eigenen
Hände zu nehmen, ohne irgendetwas an andere zu delegieren,
hat Euch erlaubt, weiterhin in Würde von Eurer eigenen Arbeit zu leben, ohne in die Fallen von Verhandlungen und Kompromissen
zu tappen, von Produktionsverlagerungen,
von Sozialplänen und staatlichen Almosen, von Erniedrigungen für jene, die Arbeit suchen
und keine mehr finden.
Eurer Ruf “Hände weg von der Officina!” ist zum Schlachtruf für viele andere Arbeitende geworden. Angefangen mit jenen der INNSE
Mailand, die 15 Monate lang Widerstand geleistet haben gegen den Versuch des Eigentümers
die Fabrik zu schliessen, um Geld zu
machen mit dem Maschinenpark und dem Grundstück, auf dem die INNSE steht. Euer entschlossenes Nein zu den Plänen von Unternehmern
und Managern war auch der Anlass zur Gründung
unseres solidarischen Netzwerks, mit dem wir versuchen, die Kämpfe der
ArbeiterInnen verschiedener Fabriken miteinander zu verbinden.
Vor drei Jahren sind wir mit Arbeiterinnen und Arbeitern aus Serbien an Euer Fest gekommen. Erinnert Ihr Euch an Zoran Bulatovic,
den Arbeiter mit dem abgetrennten Kleinfinger? Heute lebt er in Norwegen, wo er politisches Asyl beantragt hat. Nach mehreren Drohungen
und auch körperlichen Angriffen auf seine Person fürchtete er um das Leben und die Gesundheit seiner Familie. Gegenüber
ArbeiterInnen, die entschlossen ihre Rechte verteidigen, hatten die Fabrikbesitzer noch nie irgendwelche Skrupel, wenn es um ihre
Privilegien ging! Und der Staat, der vorgibt, die Menschenrechte und das gleiche Recht für alle zu schützen, beschützt in Wirklichkeit
nur das Eigentum jener, die von der Arbeit anderer leben, während alle übrigen, die nur solange leben, als sie Arbeit finden, ihrem
Schicksal überlassen werden.
Wenn ein Unternehmer seine Arbeiter lieber entlässt als sie weiter auszubeuten, gibt er stets eine mangelnde Rendite
als Begründung
an. Oft jedoch ist der wahre Grund ein ganz anderer, vor allem bei einer traditionsreichen
Fabrik mit einem grossen Grundstück, das
den Appetit der Immobilienspekulanten geweckt hat. So war es bei der INNSE, so war es bei der Kartonfabrik Deisswil und – wie man
jetzt sieht – ist es dasselbe auch bei der Officina Bellinzona! Vor fünf Jahren, mit dem Streik und der öffentlichen Meinung auf der
Seite der Officina, blieb den Profitgeiern nichts anderes übrig, als ihre wahren Pläne zu verschweigen. Insgeheim haben sie jedoch ihr
Projekt AREA weiter vorangetrieben, mit dem sie – in ihrer Sprache – „interessante städtebauliche Entwicklungen“ verfolgen
möchten,
was im Klartext bedeutet: Luxuswohnungen, Läden und ähnliche Einrichtungen zu bauen. Obwohl diesmal statt von Schliessung der
Officina nur von „Verlagerung“ die Rede ist, so ist die Botschaft völlig klar. Denn „verlagern“ bedeutet in Wirklichkeit „demontieren“!
Das Projekt AREA ist ein Frontalangriff. Nicht nur auf die Arbeiter der Officina und ihre Familien, sondern auf die gesamte Arbeiterklasse!
Die Officina Bellinzona ist inzwischen ein Symbol des Arbeiterwiderstands gegen Fabrikschliessungen.
Der Kampf muss wieder
aufgenommen werden! Und zwar mit der gleichen Entschlossenheit wie vor fünf Jahren! Mit unseren bescheidenen Mitteln werden wir
die Solidarität nördlich der Alpen organisieren, in der Deutschschweiz und auch in Deutschland. Aber der Kampf muss hier beginnen, in
der „Pittureria“! Die Arbeiter sind nicht deshalb stark, weil die öffentliche Meinung auf ihrer Seite steht. Vielmehr steht die öffentliche
Meinung auf der Seite der Arbeiter, wenn diese zuvor ihre eigene Stärke gezeigt und selbstermächtigt gehandelt haben. Das haben
wir vor fünf Jahren in Bellinzona gesehen, das hat sich ebenso bei der INNSE Mailand gezeigt – und auch in vielen andern Fällen, wo
die Kämpfe leider verlorengegangen sind, weil die ArbeiterInnen sich auf die Politik und die öffentliche Meinung verlassen haben statt
selbst den Kampf zu organisieren.
Vor fünf Jahren erklärte SBB-Meyer den Streik für illegal. Als dann in Bellinzona über zehntausend Menschen auf die Strasse gingen, redete
niemand mehr von einem „illegalen Streik“! Das Beispiel zeigt, dass die Legalität nichts anderes ist als das Kräfteverhältnis zwischen
den gesellschaftlichen Klassen. Wenn die ArbeiterInnen vor der bürgerlichen
Legalität zurückweichen, erlauben sie dem Klassenfeind, die
Spielregeln zu diktieren. Die Volksinitiative
„Für einen Industriepool“ wurde von über 15‘000 Personen unterzeichnet. Fünf Jahre später
hat noch immer
keine Volksabstimmung stattgefunden – und wird es auch in Zukunft nicht, wenn nicht vorher Ihr Arbeiter der Officina
erneut Eure Stärke zeigt und mit der gleichen Entschlossenheit wie vor fünf Jahren den Kampf wieder aufnehmt!
Hände weg von den Fabriken! HÄNDE WEG VON DER OFFICINA!
Rede Netzwerk Arbeitskämpfe am Officina-Fest, 9. März 2013
Kontkat: [email protected]
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