Le cifre portoghesi offrono una chiave per leggere uno dei temi più importanti del dibattito sull’Alta velocità e sui grandi corridoi infrastrutturali europee. Perché il dibattito sulle grandi opere viarie, a Bruxelles come in Italia, è sempre condizionato dall’eco di grandi previsioni disattese e di altrettanto grandi promesse a lunga scadenza: opere che andranno in esercizio fra il 2030 e il 2050, costi abbattuti nell’arco di decenni, rientri economici – spesso mirabolanti – previsti ben oltre la metà del secolo appena iniziato. Di che cosa ci parla, allora, il Portogallo? Di 16,7 miliardi di disavanzo accumulato, tra il 2000 e il 2010, per gli enti statali che si occupano di trasporti e infrastrutture; di 23 miliardi di deficit previsto per il 2015 in caso di mancata riduzione dei costi, di cui 2,5 miliardi di passivo a carico della sola Cp (Comboios de Portugal), la compagnia ferroviaria di Stato; e poi di un’offerta di passeggeri per chilometro quattro volte superiore alla domanda effettiva. Bastava leggere quelle pagine per conoscere in anticipo il finale del film.
Il Portogallo non ha alcuna intenzione né possibilità – almeno fino a quando rimarrà in vigore il programma di aiuti europei – di assumere impegni nella realizzazione di nuove infrastrutture, essendo quelle esistenti in perdita e sovradimensionate rispetto alla domanda. Due treni giornalieri per Maastricht bastano e avanzano. Dunque il corridoio rimarrà senza ingresso principale: niente pilastri di granito all’entrata, niente frontone neoclassico; solo entrate di servizio, anticamere con affaccio obliquo su un progetto di cui oggi, 3 aprile 2012, non si vedono l’inizio né la fine. Diversi chilometri più a est di Santa Apolónia sorge una quinta stazione, la Estaçao do Oriente, tutta scale mobili, tensostrutture e centri commerciali, adagiata in mezzo al quartiere dell’Expo. Nella sua prosopopea architettonica anche la Estaçao do Oriente appare invecchiata, scheletrica, come tutti gli organismi nelle cui vene scorre meno linfa del necessario.
Dopo l’esposizione universale del 1998, l’organizzazione degli Europei del 2004 (sfilata alla Spagna) e l’ascesa di Durao Barroso alla guida della Commissione europea, si è dato per scontato che il paese avesse ormai acquisito un livello di autonomia, dinamismo, benessere e reputazione internazionale tale da non richiedere scossoni né aiuti da parte di chicchessia. Invece è un paese che oggi non ha la forza, il denaro e neppure la convinzione strategica per posare circa 300 chilometri di binari tra Lisbona e il confine con la Spagna. Trecento chilometri sostanzialmente piatti, senza metropoli da evitare o attraversare né montagne da perforare, che in tutto sarebbero costati poco più dei 68 chilometri del tratto italiano della Torino-Lione (2,4 contro 2,2 miliardi di euro, tunnel di base ovviamente escluso), ma che in un orizzonte economico a breve-medio termine, quello del 2015, non avrebbero portato alcun beneficio al paese e anzi ne avrebbero prostrato in maniera definitiva le già provate casse.
Per il Portogallo il 2015 è un terminus ante quem, e l’anno che segna la cesura tra la fine dell’attuale legislatura e l’inizio della successiva, è la frontiera più estrema a cui sono riusciti a spingersi gli autori del Pet nell’elaborare il documento e nel formulare le loro previsioni. Oltre, c’è un abisso su cui non hanno osato sporgersi, tale è la vertigine che suscita il futuro, questo futuro. Per l’Italia, invece, il 2015 è domani. Anzi, oggi. Nel rapporto sull’Analisi costi-benefici dell’Osservatorio Torino-Lione leggiamo, infatti, che i lavori cominceranno nel 2014, termineranno (se tutto andrà bene) nel 2035 e inizieranno a produrre benefici nel 2073. Il problema è che 61 anni non sono un tempo da economisti o banchieri, ma da futurologi, scrittori di fantascienza, astrologi, profeti.
Allo stato attuale di veloce in Portogallo esiste, anzi resiste, solo la linea Braga-Faro, ma stiamo parlando di un treno in servizio da quasi 15 anni – l’Alfa Pendular, cugino di primo grado del nostro Pendolino – che prima di Lisbona non si spinge oltre i 160 chilometri all’ora e in certi tratti viaggia più lento di un tram. Di fatto, l’unico tratto in cui l’Alfa Pendular può superare – ma senza esagerare – i 200 chilometri all’ora è quello tra Lisbona e Faro. Prima, è un treno come tutti gli altri, anzi peggio perché va lento uguale, ma costa di più.
di Andrea De Benedetti e Luca Rastello
Da Il Fatto Quotidiano del 21 marzo 2013
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