Ciò è stato già fatto in gennaio, preoccupando non poco le banche centrali di mezzo mondo, Bundesbank e BCE su tutte; la mossa della Bank of Japan arriva a ridosso della riduzione di pressioni già avviata su dollaro e yuan. Ciò comprometterebbe dunque la stabilità dell’euro in termini di esportazioni, attestando la moneta unica europea a livelli troppo alti: rivedere il costo del denaro per Bruxelles di questi tempi sarebbe un’operazione estremamente complessa, se non controproducente perchè rischierebbe di scatenare nuovi sciami sismici economici e soprattutto finanziari, interrompendo il periodo di “tregua armata” in corso, esclusion fatta per il caso Cipro.
Il Giappone si è dato inoltre tempo sino ad aprile (periodo concomitante con la pioggia di dati globali sull’andamento delle economie per il primo trimestre dell’anno) per eventualmente decidere di adottare politiche di stabilità dei prezzi, applicando la dottrina della “inflation targeting”; il tutto mentre la banca centrale nipponica acquisterebbe in maniera praticamente illimitata titoli di stato di Tokyo promettendo maggiore flusso di liquidità per le banche del Paese, ed il governo sarebbe impegnato ad abbattere il processo deflazionistico in corso portando l’inflazione al 2% con interventi programmatici.
Se applicata fino in fondo, la linea giapponese causerebbe nuovi ed importanti squilibri nell’economia multipolare; i primi a risentire degli scossoni potrebbero proprio essere gli europei, alle prese con un’unica moneta ma diverse e distinte crisi al suo interno. Cipro è solo l’ultimo caso in ordine cronologico ad avere bussato alla porta: se la situazione precipitasse ulteriormente le debolezze degli altri Paesi UE con pesanti fragilità economiche, tra cui l’Italia, tornerebbero ad acuirsi prepotentemente.
A cura di M.L.
L’effetto-Cina sull’energia e l’effetto-Cipro sull’euro
di Demostenes Floros
Durante marzo, il prezzo del Brent è rimasto invariato mentre quello del Wti è cresciuto di oltre 5 dollari al barile ($/b).
Non essendosi verificati significativi cambiamenti nei fondamentali del mercato,tale trend potrebbe essere la diretta conseguenza delle parole rassicuranti del presidente della Fed, Ben Bernanke, volte a ribadire il proseguimento dell’opzione delquantitative easing nel breve/medio periodo, più che il superamento delle divergenze emerse, il 20 febbraio scorso, all’interno dell’Open Market Committee – l’organo esecutivo della Federal Reserve – circa la conduzione della politica monetaria.
Come accade sempre più frequentemente, la Cina è il paese che più di ogni altroha movimentato il mercato dell’energia: in primo luogo, in dicembre, secondo i dati forniti rispettivamente dalle dogane cinesi e dal Us Energy Information Administration, le importazioni di Pechino (6,12 milioni di barili al giorno, b/g) hanno superato quelle di Washington, (5,98 milioni di b/g).
Di fatto, il Dragone si appresta a diventare il primo importatore di greggio al mondo, facilitato anche dall’incremento della produzione domestica americana dishale gas/oil in seguito all’utilizzo sempre più massiccio della tecnica estrattiva delhydraulic fracturing.
In secondo luogo, il 15 marzo scorso, Eni ha venduto alla China National Petroleum Corporation il 20% dell’Area 4 per l’estrazione di gas del giacimento in Mozambico, per l’ammontare di 4,2 miliardi di dollari; il carattere sinergico dell’accordo è ben rappresentato dalla possibilità che la multinazionale italiana entri nel mercato del gas non convenzionale dell’Impero di mezzo.
Nel corso del suo primo viaggio all’estero, il neopresidente cinese Xi Jinping è stato a Mosca dove ha incontrato il suo omologo, Vladimir Putin, con il chiaro obiettivo di rimarcare il significato strategico del rapporto tra i due Stati. Diversi gli accordi portati a termine: per quanto riguarda il petrolio, Rosneft arriverà a raddoppiare le proprie esportazioni verso Pechino (ad oggi, 300 mila b/g) attraverso l’oleodotto Eastern Siberia-Pacific Ocean (Espo) oltre a collaborare con Cnpc e Sinopec per lo sviluppo di vecchi e nuovi giacimenti (Sakhalin-3 e Artico). Per quanto attiene il gas invece è stato firmato un Memorandum of Understanding trentennale tra Gazprom (50,002% del capitale di proprietà statale) e Cnpc (100% statale) per le forniture di 38 miliardi di metri cubi di gas annui – nonostante il persistente stallo sui prezzi di vendita/acquisto della materia prima – trasportabili attraverso la cosiddetta Eastern Route (da completare).
A Durban (Sudafrica), nel corso dell’incontro dei Brics, si è raggiunta un’opzione per la creazione di una banca per lo sviluppo – capitale iniziale di 50 miliardi di dollari – volta al finanziamento di progetti infrastrutturali e commerciali che non escluderebbero l’utilizzo delle proprie valute negli scambi bilaterali.
Sempre a marzo, le principali banche centrali del mondo non hanno modificato le strutture dei rispettivi tassi di interesse, così come le risorse destinate all’acquisto di titoli: in particolare, la Boj ha mantenuto i saggi tra lo 0% e lo 0,1%, la Boe allo 0,5% mentre la Bce allo 0,75% (per l’ottavo mese consecutivo).
Il 27 marzo l’euro ha toccato il minimo da 5 mesi sul dollaro (€/$ 1,27) in conseguenza della crisi di Cipro, il cui output pesa per lo 0,18% sul prodotto dell’intera Uem. È interessante osservare come, nel 2008, il rapporto debito pubblico/pil di Nicosia fosse solamente del 48% (attualmente, ha superato l’85%) mentre, nel 2012, il deficit commerciale strutturale ha indicato importazioni (5,74 miliardi di euro) pari al 400% del valore delle esportazioni (1,42 miliardi di euro). Ancora una volta, emerge come il rischio di profilo finanziario di un paese non dipenda solamente dai disavanzi pubblici, ma anche dai disavanzi esteri.
La balcanizzazione del sistema del credito – accentuatasi dal presunto piano di salvataggio cipriota – non è altro che l’effetto degli squilibri produttivi intraeuropei sul sistema bancario; non a caso, la periferia dell’eurozona è, al momento, debitrice per 820 miliardi di euro nei confronti degli istituti del nord Europa mentre la sola Germania presenta un saldo attivo per 620 miliardi di euro rispetto ai cosiddetti Pigs (le attività finanziarie cipriote valevano l’800% del pil).
Allentare i vincoli del Patto di Stabilità grazie ad un diverso calcolo degli investimenti e allungare i tempi di rientro dagli sforamenti degli eccessi di deficit rischiano di essere solamente palliativi: urge rivedere profondamente sia il fiscal compact sia il pareggio di bilancio con l’obiettivo immediato della stabilizzazione del debito pubblico: l’Italia, ad esempio, libererebbe risorse per 20 miliardi di euro nel solo anno in corso.
Con quale espediente? Forse, il suggerimento ci viene fornito proprio da Cipro,dove gli Stati virtuosi, onde imporre le proprie politiche di austerity, hanno dovuto introdurre – almeno per la gente comune – alcune limitazioni alla libertà di movimento dei capitali.
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