Eurostat, istituto di statistica dell’UE, ha pubblicato oggi la sua
ricerca sul costo del lavoro tra il 2008 e l’ultimo quadrimestre 2012
nell’Europa a 17 e 27 membri.
Le stime, che escludono però il settore agricolo e la pubblica
amministrazione, indicano un aumento a dicembre dello scorso anno dell’
8,6% per l’europa a 27 e dell’8,7% per l’unione a 17.
Ciò ad indicare ulteriormente la linearità di percorso intrapresa dai
Paesi non ancora dotati della moneta unica, con ovvie diverse ricadute
su ogni singolo stato: alla pesante flessione più che prevedibile della
Grecia che fa da fanalino di coda con – 11,2% si contrappone la decisa
sferzata di costi complessivi della Bulgaria, che schizza a +42,6%
rispetto a dicembre 2008.
In compagnia di Atene, gli unici dati in negativo sono quelli di
Ungheria ( -4,6% ), Lituania ( -1,4% ) e Polonia ( -2,6% ) . Crescono a
doppia cifra i Paesi scandinavi, noti per la forte presenza di stato
sociale, tra i quali spicca il +23,3% della Svezia, mentre la locomotiva
Germania si attesta a +9,1%. Non soprendono i decisi aumenti per l’ex
Cecoslovacchia, con Praga e Bratislava che viaggiano intorno al 15% in
più ( la prima +15,3%, la seconda +13,8% ).
Praga si affaccia a Bruxelles con il nuovo governo di centro-sinistra
guidato da Milos Zeman, di impronta fortemente europeista, chiamato a
mantenere stabile, quando non a migliorare, la situazione economica del
Paese che vede crescere per il terzo anno consecutivo il proprio
prodotto interno lordo (+1,8% nel 2011), che consolida la produzione
industriale soprattutto grazie agli investimenti esteri delle
multinazionali e che mantiene un basso tasso di inflazione, attestato
intorno al 2% (1,9% nel 2011). Zeman dovrà mantenere un occhio di
riguardo rispetto alla fondamentale questione del debito pubblico, in
costante ascesa.
Più complessa la situazione per la Slovacchia, guidata dal partito
autodefinitosi socialdemocratico, ma di forte impronta identitaria
nazionalista, dello SMER di Robert Fico. Pur segnando rispettabili
consolidamenti in campo economico, pareggiando l’aumento della
produzione industriale con i cugini ceki, Bratislava deve fare i conti
con un’inflazione doppia ( 4% ) ed una disoccupazione che raggiunge il
13,5%, seppure registri un trend in lieve calo.
Gli indici EUROSTAT indicano gli aumenti maggiori del costo del lavoro
proprio nel settore dell’industria, basilare per la ricchezza di ogni
Paese nonchè economicamente il più impegnativo, con stime che registrano
30 euro orarie per la zona euro (24 nell’europa allargata a 27 membri);
seguono comunque a poca distanza il settore dei servizi e quello delle
costruzioni.
Difficile fare stime sufficientemente focalizzate in assenza, è bene
ricordarlo, di dati sui costi di agricoltura e, soprattutto, pubblica
amministrazione: si pensi solo all’esercito di statali e parastatali nel
nostro Paese.
Il calcolo dell’intero costo si basa sul peso dei salari ma anche sulle
passività aggiuntive, quali ad esempio le prestazioni a sostegno del
reddito per i lavoratori. L’intero peso di queste ultime è stimato al
23,7% per il 2012, poco meno di un quarto del totale, con punte che
oscillano tra il 8,2% di Malta ed il 33,6% della Francia. Va qui
precisato che ogni Paese attua diverse forme di stato sociale a sostegno
del reddito e del potere di acquisto dei salari: non sorprenda quindi
che Parigi si attesti in questo ramo come la più virtuosa, scavalcando
gli scandinavi tanto decantati da questo punto di vista. Questa ricerca
mira al semplice calcolo di costo di un’ora di lavoro, quindi per il
lavoratore la sola spesa della busta paga lorda, senza tenere in
considerazione tutto quanto ogni Paese mette in campo al di là della
produzione di ricchezza dei lavoratori.
Singolarmente preso, il nostro Paese si attesta pienamente nella media
segnando un aumento del 8,9% rispetto al 2008, passando da 25,2 euro
orarie a 27,4. Il costo delle passività aggiuntive per il 2012 è stimato
al 27,9%.
Se nel caso del Lussemburgo è più che comprensibile che il costo dei
servizi sia decisamente maggiore rispetto alla produzione, più singolare
è il caso italiano dove i due settori fanno registrare la medesima
cifra, 27,3 euro l’ora. L’economia che produce ricchezza ( “business
economy) è più leggera della produzione cosiddetta “non economica”,
riferita cioè ai settori dell’educazione, della salute umana ed attività
sociali, dell’arte e dell’intrattenimento in genere più gli altri
servizi generici (SEMPRE ESCLUSA LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE)
rispettivamente a 27,2 e 28,9.
A cura di M.L.
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