In quasi tutta la SICILIA, in questi giorni, stanno esplodendo una delle tante “emergenze rifiuti”, succedute con cadenza quasi regolare in regione. Adesso le provincie maggiormente interessate al problema sono quelle di Palermo di Messina e Caltanisetta, in realtà, però, è l’intero sistema siciliano, dalla raccolta allo smaltimento, a essere profondamente in crisi, sull’orlo del collasso. Intendiamoci il problema della spazzatura non è una specificità siciliana ma è connaturato a questo sistema economico e produttivo; in altre parti, però, sono più bravi nel “nascondere la polvere sotto il tappeto”, e riescono a occultare le emergenze rifiuti, spedendole nell’Italia settentrionale ed Europa del nord, dove sono bruciati con immensi “benefici delle popolazioni locali”, (cavoli, è un bel privilegio respirare la diossina liberata dai termovalorizzatori!). La Sicilia, però, è una terra dove le problematiche nazionali sono amplificate e assumono una propria specificità, un valore aggiunto che ha radici antiche, la cultura mafiosa. E qua già immagino che qualche lettore penserà: “Ecco è da tanto che non ci mettevi in mezzo la mafia, per qualsiasi cosa che avviene in Sicilia, ma lo vuoi capire che tutta questa società è marcia e lo schifo c’è dappertutto a prescindere dalla Mafia, è il sistema capitalistico in sé ha creare i problemi”. Pienamente d’accordo, non ho mai ritenuto sufficiente eliminare la “criminalità organizzata”, la corruzione e i costi della politica, per ottenere “ la società ideale”, assolutamente non seguo questa linea di pensiero (borghese) pseudo- progressista, ma nella realtà siciliana la cultura mafiosa ha rappresentato un “valore aggiunto” che ha, da sempre, condizionato lo sviluppo economico, ma anche il vivere quotidiano dei suoi abitanti. Così anche gli attuali problemi di smaltimento dei rifiuti hanno una loro peculiarità, rispetto ad altre criticità nazionali, comunque molto gravi, e affondano le loro radici dopo il periodo delle grandi stragi di Mafia, agli inizi degli anni Novanta. Vorrei premettere, però, che queste analisi non sono convenzionali, gli intellettuali ufficiali e irreggimentati non le condivideranno, ma tant’è, inutile aspettarsi un esame materialistico e oggettivo dei fatti da questi personaggi.
Il periodo delle stragi rappresenta un punto di svolta del potere mafioso: fino allora la Mafia si contrapponeva alla borghesia e allo stato e cercava di controllare il territorio, l’economia e la politica, rimanendo sostanzialmente all’esterno delle istituzioni (tranne le teste di ponte), accontentandosi della rendita estorta, in vario modo, all’attività economica. A un certo punto, però, la borghesia non è stata disposta a sostenere certi costi “collaterali”, allora il potere mafioso, dopo un primo periodo di sbandamento, si è riorganizzato ponendosi nuovi obiettivi, diverse finalità, sia a livello locale ma anche nelle sue diramazioni nazionali e internazionali. Da allora, in coincidenza, guarda caso, con le “trattative Stato- Mafia” le istituzioni e l’economia siciliana, ma non solo, hanno subito un repentino cambio di rotta e si capisce, non dalle dichiarazioni ufficiali ma dalla costatazione dei fatti, che le mafie vogliono fare un miglioramento, intendono integrarsi pienamente nel tessuto economico. Dopo decenni di accumulo di capitali hanno la possibilità, e la forza, di condizionare le politiche economiche e dettare le agende politiche: ecco così iniziare le epoche delle grandi opere, delle privatizzazioni dei servizi pubblici e dei condoni edilizi! Chi ha avuto interesse a smobilitare tutti questi capitali? (Domanda retorica). La Sicilia si è buttata a pesce in questo processo (anzi è stata la principale sponsorizzatrice!), ed è iniziato un lungo periodo di ristrutturazioni del tessuto produttivo e sociale: da un lato si è portata avanti la privatizzazione della sanità, disseminando la regione di cliniche private convenzionate, dell’acqua, dello smaltimento dei rifiuti e delle fognature, dall’altro si sono creati una miriade di carrozzoni politici mafiosi, attraverso i quali sistemare in modo clientelare migliaia di persone. Era il periodo in cui si decantava la vittoria dello stato sulla Mafia, in realtà questa si stava semplicemente ristrutturando e coltivava, con metodo, la cultura mafiosa ricreando un forte consenso sociale, abituando il popolo all’individualismo ed alla cultura della delega in bianco.
La nascita degli A.T.O. (ambiti territoriali ottimali) hanno sancito il culmine di questo periodo, non si è voluto perdere l’opportunità di mettere “le mani sulla torta da spartire”: si sono create un’infinità di società miste, pubbliche e private, incaricate, in teoria, di uno specifico settore dello smaltimento dei rifiuti; in pratica ciascuna di queste società ha avuto i suoi “santi in paradiso” da sistemare, a vari livelli di reddito, e sono servite per sperperare un’immensa quantità di risorse pubbliche in stipendi milionari di dirigenti, consulenze d’oro appalti per lavori incompiuti, sino a giungere alla situazione attuale: i debiti degli ATO ammontano, ormai, a più di un miliardo di euro, non si è chiuso il ciclo dei rifiuti, la raccolta differenziata è la più bassa d’Italia, praticamente inesistente, e le discariche sono quasi tutte in via di riempimento. Si può dire che non c’è un ATO regionale che non sia interessato da un’inchiesta giudiziaria, così come i principali attori politici, di tutti gli schieramenti, sono coinvolti in vicende legate a questi enti. La gravità della situazione siciliana, però, è l’assoluta mancanza di prospettive e di soluzioni facilmente praticabili: la regione nuota in un mare di debiti, le discariche sono inadeguate e non si sa, dove recuperare le risorse per creare le infrastrutture necessarie. Per adesso “si naviga a vista”, e le criticità maggiori sono nel palermitano e nel messinese, ma le discariche della provincia di Catania si stanno riempiendo e ci vorranno mesi per adeguare nuove infrastrutture. In provincia di Caltanisetta, invece, i comuni hanno debiti con chi gestisce le discariche e le stesse sono chiusi agli autocompattatori che non possono conferire i rifiuti in discarica. Le criticità maggiori, comunque, devono ancora venire, quando le discariche saranno piene! Come uscire da questa situazione è difficile dirlo: solo una raccolta differenziata spinta potrebbe diminuire il volume di rifiuti desinati alle discariche, ma non ci sono le infrastrutture né le risorse per crearle; si potrebbero allontanare dall’Isola, ma aumenterebbero i costi e le bollette già tra le più esose d’Italia. Intanto molti operatori ecologici, gli anelli più deboli del sistema, non vengono pagati e scioperano non raccogliendo i rifiuti, così i cittadini sono costretti a convivere con i rifiuti per strada, tra roghi e animali vari. A Palermo sono ricorsi anche all’esercito per liberare le strade, che comunque rimangono invase dai rifiuti, perché la società addetta alla raccolta è fallita e gli operai sono in sciopero perché temono per il loro futuro. In provincia di Enna la situazione è variegata, anche se i comuni sono costretti a conferire i rifiuti nelle discariche di Catania (ma quando queste si riempiranno?), mentre, per la prima volta a Nicosia vengono chiuse le scuole per quattro giorni per motivi igienico sanitario. I responsabili di queste situazioni, però, sono tutti a piede libero e probabilmente potranno godersi i soldi pubblici estorti alla collettività, nessuno pagherà per i disagi arrecati alla popolazione, ma non c’è da meravigliarsi è la giustizia borghese, non incarcera mai chi ruba milioni di euro! Un’ultima considerazione, questa società finirà sommersa dai rifiuti, paradigma del profitto estorto in tutto il mondo.
PIERO DEMARCO
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