Passeranno ancora giorni e settimane in cui giornalisti, esperti e personale politico – sindacale potranno sbizzarrirsi nella ricostruzione degli avvenimenti luttuosi che per l’ennesima volta colpiscono il mondo del lavoro, e che martedì hanno colpito il porto di Genova, con il disastro della Jolly Nero della linea Messina.
Le solite dichiarazioni, le tante lacrime di coccodrillo, i soliti appelli di coesione civile hanno inondato e inonderanno giornali, tv e pubbliche cerimonie; conditi probabilmente con l’instancabile volteggiamento giornalistico attorno alla tragedia, al particolare, al rovistare in maniera minuziosa la vita privata e non delle vittime e parenti.
Politici, sindacalisti e istituzioni dalle mani sporche di sangue piangeranno le “vittime di Genova”, si appelleranno perché la città si stringa nel lutto, riempendosi la bocca sulla dignità del lavoro, sul diritto alla sicurezza. Già oggi, in occasione della commemorazione delle vittime in Piazza Matteotti, di cui ora diremo, ci hanno dato un assaggio della loro “arte oratoria”.
La realtà resta però quella delle migliaia di lavoratori sacrificati al profitto, “sacrificati sull’altare della produttività“, come giustamente ricordavano i compagni del Collettivo autonomo portuale che “sgomitando” sono riusciti ad intervenire nel cerimoniale di oggi.
Come al solito il vero responsabile dell’ennesima tragedia, il capitale, resterà impunito. Perché errore meccanico, errore umano o errore progettuale l’incidente della Jolly Nero resta il diretto effetto della spietata dinamica capitalistica in cui produttività, ritmi forsennati, straordinari sfiancanti e la ferrea logica del bilancio sono i dettami da cui non si può scappare. Una competizione sempre più sfrenata che in questi anni ha dato vita a una furibonda battaglia nell’accaparramento di quegli spazi portuali da sottrarre al concorrente, nella guerra totale tra terminalisti, immobiliaristi e capitale industriale per l’ultimo metro di banchina.
Nel mezzo, nella terra di nessuno, quei lavoratori, quella forza lavoro – portuale, appaltata o dell’indotto – da spremere fino all’ultima goccia, da far lavorare in luoghi sempre meno sicuri e angusti, soffocati dalle infinite e penzolanti colonne di container o solcati da quei giganti del mare che la dinamica capitalista, nella sua eterna condanna a ridurre i costi all’osso, spinge sempre di più ad un insensato gigantismo.
Quello stesso gigantismo, quella stessa sfrenata concorrenza, magari con il porto di Rotterdam che può vantare fondali ben più profondi di quello genovese, che rilancia la pazza e frenetica corsa nell’aumento della profondità dei fondali, nel ribaltamento a mare, nel caricare e scaricare nel minor tempo possibile navi sempre più grosse che, paradossalmente, la stessa crisi capitalistica rende sempre più vuote e sottoutilizzate. Oggi alla commemorazione in Piazza Matteotti di tutto questo naturalmente non si è parlato. Autorità, istituzioni, sindacati concertativi avrebbero voluto inscenare la solita liturgica messa cantata, con tanto di prelato sul palco.
Gli è andata male per l’intervento dei lavoratori del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) che sostenuti da diversi compagni delle realtà genovesi hanno interrotto il cerimoniale e a furor di piazza sono riusciti a leggere una propria lettera; cosa di cui fino a dieci minuti prima istituzioni e sindacati avevano negato ogni possibilità (clicca qui per vedere il video dell’intervento)
Solo in questa maniera è stato possibile far sapere che è esclusivamente grazie alla tenacia dei lavoratori del porto che è stato possibile fermare ogni attività dopo l’incidente (ripresa solo oggi, alle 13); che se fosse stato per i sindacati e le dirigenze il lavoro sarebbe ripreso già ieri alle 12, quando ancora i sommozzatori s’immergevano alla ricerca dei cadaveri dispersi e con spaccata puntualità una nave da crociera salpava con tanto di turisti che sul ponte fotografavano la tragedia.
La nostra solidarietà e vicinanza a questi lavoratori l’abbiamo voluta dare oggi con la nostra presenza al loro fianco. Domani si dovrà ricominciare nuovamente a riflettere consci che senza un lavoro quotidiano e meticoloso nella ricostruzione di un’opposizione di classe a queste dinamiche capitalistiche, saremo sempre carne da cannone, saremo sempre sacrificati sull’altare del loro profitto.
Lanterna Rossa, Genova, 9 maggio 2013
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