“Vogliono istituzionalizzare il ruolo della Difesa come trafficante di armi e piazzista estero al servizio di Finmeccanica, sdoganando il gigantesco conflitto di interessi tra apparato militare e industria bellica”.
E’ durissimo il giudizio del generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo, sul provvedimento inserito nel secondo pacchetto di norme per la semplificazione che verrà discusso mercoledì in Consiglio dei ministri. Una modifica al Codice dell’ordinamento militareche prevede che la Difesa possa “svolgere per conto di Stati esteri attività di supporto tecnico-amministrativo ovvero contrattuale per l’acquisizione di materiali di armamento prodotti dall’industria nazionale”.
“L’approvazione di questa norma – spiega il generale Mini – ufficializzerebbe una prassi consolidata, ma sottaciuta, che ha sempre visto i nostri generali, in missione all’estero come rappresentanti militari o comandanti di operazioni, attivamente impegnati in attività di promozione e intermediazione per la vendita di armamenti italiani ai governi locali. Anche a me, quando ero rappresentante militare italiano a Pechino, veniva chiesto di promuovere la tecnologia militare italiana presso il governo cinese, ma lo feci con pessimi risultati. Non conosco colleghi che non l’abbiano fatto, e molti, quelli che io chiamo ‘piazzisti’, hanno costruito così le loro carriere e le lororicchezze“.
Mini spiega come questa attività dei generali italiani venga lautamente premiata da Finmeccanica generando un mostruoso conflitto d’interessi. “Questi servigi vengono remunerati oppure ricompensati con importanti avanzamenti di carriera: tutti i capi di stato maggiore sono ‘nominati’ da Finmeccanica, a volte perfino i ministri della Difesa, come dimostra il caso Di Paola. Oppure, penso al suo amico Venturoni (ex capo di stato maggiore ora ai vertici di Finmeccanica, ndr), che ha avuto importanti incarichi e ricchi contratti di consulenza aziendale una volta in pensione. Per aggirare il divieto di consulenza durante i cinque anni di servizio ausiliario – rivela il generale – molti sanissimi ex capi di stato maggiore diventano improvvisamente inabili, passando subito alla riserva, che non prevede divieti di sorta”.
Oltre a trasformare la difesa della sicurezza nazionale in difesa degli interessi dell’industria bellica nazionale, secondo l’ex comandante della missione Kfor questa norma di semplificazione una cosa la semplificherebbe di certo: “Questo provvedimento faciliterebbe la vendita di armi italiane a governi con i quali è difficile costruire rapporto di intermediazione, cioè governi instabili e coinvolti in conflitti interni come nel caso dell’Afghanistan, della Libia o della Somalia: scenari dove in passato, penso a Mogadiscio, a trafficare armi erano i nostri servizi segreti“.
Paesi “a rischio”, li definisce il generale Mini: a rischio di violare quei princìpi stabiliti dalla legge 185 del 1990 – espressamente richiamata nella norma in discussione – che vieterebbe la vendita di armi a paesi in guerra e a governi non democratici. Princìpi che, in presenza di accordi di cooperazione e assistenza militare, possono essere agevolmente aggirati per risollevare le sorti e i profitti della nostra industria bellica nazionale.
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