Redazione di Operai Contro, su "Il Manifesto" dello scorso sabato 6 luglio, l'economista Claudio Gnesutta snocciola ed analizza i dati sulla crisi in Italia e sul crollo dei consumi, con conseguenti divari che sono sulla perfetta via per tramutarsi in abissi senza fondo. Nulla da dire sull'analisi dei numeri, peraltro poco interpretabili: non a caso anche mezzi di informazione meno (od oppositamente) schierati devono riconoscere il mal di vivere generale causato da una forbice sempre più ampia. E' sul commento politico che Gnesutta pianta ed arma pericolose mine in un articolo peraltro assai poco scorrevole, gioco forza dato l'argomento: afferma che questa fase storica "non è una comune crisi congiunturale, ma invece una fase di transizione verso un modello sociale nel quale (... ) è destinata a diventare più ampia la divaricazione strutturale tra i settori sociali favoriti e famiglie e persone in condizioni più disagiate". Ciò che sviluppa peraltro ciclicamente non è una "fase sociale" o una "crisi congiunturale". Semplicemente siamo già entrati in una crisi di sistema, quell'unico sistema che conosciamo, quello capitalista. E Gnesutta, da buon professore universitario di economia, conosce bene Marx e la sua critica ragionata. Inoltre, differenze sempre più marcate tra ricchi e poveri non sono un "modello sociale" (tra l'altro, ne esistono? ) bensì la progressiva barbarie del sistema capitalista quando "il re è nudo". La trappola più grossa però la tiene in serbo per la cesura dell'articolo: "Il processo in atto, sotterraneo e sistematico, rischia nel senso comune di apparire inevitabile e che il deterioramento delle condizioni di vita e di welfare non possa essere arginato da alcuna iniziativa: la scelta si ridurrebbe all'alternativa tra rassegnazione passiva e ribellismo vociante." . Ora, le ultime tre righe sono da nascondere alla vista di chiunque intenda farsi una coscienza politica e sociale, da QUESTA parte della barricata; se Gnesutta intendeva cesellare la prefazione alla prossima pubblicazione della Bibbia Socialdemocratica, l'obiettivo è stato lodevolmente raggiunto. Resta però una nota stonata su un "quotidiano comunista". Il (buon) senso comune non può che leggere come inevitabile "il processo in atto". L'unica differenza con la storia passata sono i protagonisti ed i tempi del conflitto, ineluttabile passaggio in un mondo segnato da sovrapproduzione di beni che ha bisogno di azzerare ogni tabella di marcia. Non si può "arginare" la frana dello stato sociale e delle condizioni di vita, il mercato è anarchico per definizione, per di più totalmente in mano alla finanza perde ogni barlume di possibilità di essere riacciuffato; e se anche la ricetta ci fosse, dovremmo "arginare il deterioramento" per tenerci nella condizione in cui siamo, schiavi del lavoro salariato? Gnesutta e la sua categoria di lavoratori potranno pure avere il salvacondotto delle migliorie socialdemocratiche, noi operai siamo destinati alla morte per lavoro o sul lavoro. Riformismo, liberismo o progressismo sono sistemi inventati da borghesi più o meno illuminati: la nostra idea è una sola, e ben precisa. Infine, lasciamo la "rassegnazione passiva" a tutta quella parte di popolazione drogata, debole ed asservita in omaggio alla filosofia interclassista del quieto vivere. Ed il "ribellismo vociante" a tutti quei soggettoni che organizzano processioni in piazze e strade da liberare alla chetichella, quando non addirittura condite con finti litigi accordati dietro le quinte: un omaggio quindi a sindacati e sindacatini in primis, nessuno escluso. Gnesutta, poggia per un attimo libri di economia, gessetti, lavagne, carta e penna e guarda meglio intorno cosa gli operai in tutto il mondo, in maniera indipendente e determinata, costruiscono. Quegli operai "in condizioni più disagiate" che la politica borghese ed il sindacalismo economicista e concertativo l'hanno ormai abbandonato, tracciando il sentiero dell'unica strada possibile per la nostra salvezza e liberazione. Non siamo poi così pochi. Saluti Operai da Pavia
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