di Maghdi Abo Abia – 08/06/2013 – Il tribunale della città campana ha decretato il sequestro dell’area appartenente all’azienda di Elio Graziano, fallita nel 1990, nella quale sono depositati 469 blocchi di cemento amiantato per un totale di quasi 3000 tonnellate di scorie le cui polveri hanno ucciso negli anni dieci operai
Un altro caso di amianto dimenticato e riaffiorato grazie all’azione dellamagistratura. Tre giorni fa la procura di Avellino ha disposto il sequestrodell’area ex-Isochimica, la quale nel periodo 1983 – 1988 si occupava della scoibentazione dei vagoni e carrozze ferroviarie delle Ferrovie dello Stato per liberarle dall’amianto.
IL SEQUESTRO – Come ci spiega Ottopagine, l’area destinata al sequestro è quella dell’intero Borgo Ferrovia. Il procuratore Rosario Cantelmo ha emesso inoltre 24 avvisi di garanzia mentre le ipotesi di reato vanno dal disastro ambientale colposo alla cooperazione colposa in disastro ambientale. Il nucleo della forestale di Avellino ha provveduto al sequestro perché le ultime verifiche avevano dimostrato come le condizioni i 469 cubi di cemento-amianto friabile, per un totale di 2767 tonnellate di materiale, erano così gravi da dover richiedere un intervento immediato. Le forze dell’ordine sono quindi intervenuti nell’azienda dell’imprenditore Elio Graziano sequestrando l’area.
DIECI MORTI PER AMIANTO – Ad aggravare la situazione le morti degli operai. Nei giorni scorsi un ex operaio dell’azienda, un cinquantenne residente a Mercato San Severino, è deceduto a causa di una patologia derivante dall’inalazione di absesto, la materia prodotta dall’inalazione di fibre d’amianto. Con lui i morti totali sono 10. Gli altri 116 colleghi, tra cui alcuni ancora in attività, hanno chiesto il pre-pensionamento, spaventati dalle condizioni in cui si trovano a lavorare. Ottopagine aggiunge che dalle analisi effettuate da esperti è emerso che ulteriori indagini sono in corso nei confronti di persone allo stato non identificate per accertare eventuali coinvolgimenti e responsabilità nella mancata atttività di bonifica e emessa in sicurezza dello smaltimento e dell’area.
IL PARERE DEI TECNICI – Se la notizia del sequestro ha destato l’attenzione di tutto il Paese, ancora emotivamente scosso dalla sentenza d’appello sul caso Eternit di Casale Monferrato, in Campania già da anni si segnalava la pericolosità dell’area ed i rischi per i lavoratori. Ottopagine riporta la relazione dei tecnici nominati dalla procura di Avellino. Secondo la relazione curata dagli esperti, Gualtiero Ricciardi e Umberto Moscato del Policlinico “Gemelli” di Roma, ”l’esposizione professionale all’amianto è di per sé nota, incontrovertibilmente accertata e principale causa delle patologie benigne e/o maligne absestocorrelate. La tipologia di lavorazione effettuata nell’assenza pressoché totale di dispositivi di protezione individuale, definiti dalla potenzialità protettiva troppo limitata rispetto al rischio quando presenti e collettivi, rappresenta una condizione lavorativa a maggior rischio per lo sviluppo delle patologie”.
“SIAMO MORTI CHE CAMMINANO” – “Le alterazioni radiologiche riscontrate in molti dei lavoratori della ditta Isochimica -hanno concluso gli esperti- sono riconducibili ad esposizione a polveri e fibre di absesto”. Quindi secondo i tecnici quindi tutti coloro che hanno lavorato alla scoibentazione sono in pericolo di vita. Tale valutazione è stata confermata dal dottor Arturo Cianciosi, medico legale e competente in medicina del lavoro, che cura gli interessi dei lavoratori malati nei procedimenti intentati contro l’Inail. Queste valutazioni hanno gettato nello sconforto più completo i dipendenti dell’azienda, le cui voci sono state raccolte da Il Mattino. Il coro è unanime: “Siamo morti che camminano. Ora lo dicono anche gli esperti della Procura”.
CARTELLE CLINICHE INEQUIVOCABILI – Carlo Sessa, ex coibentatore, ha aggiunto spiegando che se questa notizia da un lato sconvolgerà l’opinione pubblica, per loro non farà altro che confermare quelle che sono le paure di tutti i dipendenti: “ci siamo sottoposti a visite ed esami nelle strutture di Siena e Napoli, fornendo a stampa ed inquirenti cartelle cliniche che sono inequivocabili. Certo da oggi siamo ancora più angosciati, soprattutto perché di morti, tra i nostri ex colleghi, ne abbiamo già contati dieci. Quelle relazioni dovrebbero leggerle i medici di Asl e Inail che hanno sempre sottovalutato le nostre patologie”. Ed ora gli operai si chiedono perché l’Inail non ha riconosciuto le loro patologie, confermate dagli esperti.
“PER L’INAIL NON ERA NULLA” – Aggiunge un altro ex operaio, Nicola Abrate: “Ricordo le dichiarazioni di un medico dell’istituto durante un incontro in Regione presso la commissione sanità. Disse che le nostre condizioni non erano preoccupanti, che avevamo solo qualche placchetta pleurica così come qualsiasi cittadino. Oggi ci piacerebbe, alla luce di quanto riportato dai superperiti, che le stesse cose le ripetesse in un’aula di tribunale […] Utilizzavamo solventi, lana di vetro, sigillanti, vernici e antirombi prodotti dallo stesso Graziano in un altro suo stabilimento a Fisciano. Tutte sostanze dichiarate fuorilegge dai Ministeri di salute e lavoro a metà degli anni ’90″.
INDAGATA LA GIUNTA DI AVELLINO DEL 2005 – Gli avvocati degli operai, Ezio Bonanni e Brigida Cesta, chiederanno il sequestro conservativo dei beni degli enti indagati, ovvero l’Asl avellinese, il Comune e le ferrovie dello Stato: “Vogliamo per il caso Isochimica che vengano applicati gli stessi principi del processo Eternit”. Parliamo del Comune. Come ci ricorda Affaritaliani, tra gli indagati c’è anche la municipalità di Avellino, e più precisamente l’intera Giunta al potere nel 2005, in quanto ritenuta responsabile di rifiuto di atti d’ufficio. Quindi parliamo dell’ex sindaco Giuseppe Galasso e dei consiglieri Sergio Barile, Ivo Capone, Giancarlo Giordano (neo deputato di Sel), Luca Iandolo, Toni Iermano, Donato Pennetta, Raffaele Pericolo, Antonello Rotondi, Antonio Spina.
MANCANZA DI SCADENZE CERTE – Le responsabilità dell’allora giunta della città vengono spiegate da Ottopagine. Il 23 maggio 2005 la Giunta deliberò la sospensione della procedura di esecuzione in danno dei lavori di bonifica e di trasmettere al curatore fallimentare, l’avvocato Leonida Gabrieli -anche lui indagato-, il piano di caratterizzazione redatto dall’Arpac e approvato in precedenza. Per gli inquirenti però il problema riguarda la nuova procedura per la messa in sicurezza e per il ripristino ambientale del sito dello stabilimento. Questa non ha dato alcuna assicurazione sui tempi di realizzazione e la tipologia d’intervento. Mancava quindi qualsiasi termini per la realizzazione del progetto di bonifica. Non solo, mancava anche il parere del commissario del governo per l’emergenza rifiuti.
LO SCANDALO LENZUOLA D’ORO – Come dicevamo in precedenza, la storia della Isochimica era ben conosciuta tra Campania e dintorni. Il giornale on-line della scuola di giornalismo “Suor Orsola Benincasa”, inchiostronline, ci riferisce che l’azienda, fondata nel 1982, era fallita nel 1990 e che gli operai fino al 1985 lavoravano a mani nude, coperti solo da una mascherina di carta. Molti di loro non hanno sentito nulla -o quasi- per tanto tempo, visto che le patologie absesto-correlate godono di un periodo di latenza anche di 40 anni. Viene ricordato anche lo strano legame tra Elio Graziano e le Ferrovie Dello Stato, certificato dallo scandalo “lenzuola d’oro”, ovvero il caso degli appalti truccati per rifornire i treni notte di biancheria scadente. Nel 1979 la Idaff di Graziano si aggiudicò l’appalto per 150 miliardi di lire. Il caso venne denunciato dal concorrente, Antonio Ayroldi. I vertici delle Ferrovie furono costretti alle dimissioni e l’imprenditore fu condannato a 5 anni e mezzo di reclusione. L’isochimica, forte di un contratto da 18 miliardi di lire con le Fs, fu costretta a chiudere a causa dell’arresto del suo proprietario, come confermato da Gabrieli.
TRENI ALL’AMIANTO DI FIRENZE – Parlando invece dell’operato dell’Isochimica, all’epoca, era il 1988, si arrivò alla scoibentazione praticata con metodi illegali, tanto che venne presentata un’interrogazione parlamentare rivolta al governo De Mita nella quale si chiedeva d’interrompere l’attività dell’azienda. Ma mentre il governo non faceva nulla, ci pensò il pretore di Firenze, Beniamino Deidda, ad ordinare la chiusura dei capannoni. La decisione era giustificata dal fatto che le carrozze spedite da Firenze Porta al Prato ad Avellino per la scoibentazione tornavano su ancora con tracce d’amianto.
LA MANIFESTAZIONE D’INTERESSE DELL’ASI – Parlando della bonifica dell’area, Corriere Irpinia riporta la voce dell consorzio Asi, area sviluppo industriale, di Avellino, che ha chiesto attraverso il presidente dell’ente, Giulio Belmonte, di fare “piena luce sulla bonifica dello stabilimento dell’Isochimica” anche per tutelare l’investimento compiuto nell’acquisizione del capannone di Pianodardine attraverso una delibera depositata nel 2005 “sussistendo il presupposto della cessazione dell’attività produttiva da oltre tre anni”. “Il 14 novembre 2008 la Curatela del Fallimento Isochimica – continua l’Asi- presentò ricorso al TAR Campania – Salerno, per l’annullamento della citata delibera. L’azione giudiziaria però non ebbe buon fine visto che il TAR respinse nel 2011 il ricorso della Curatela Fallimentare confermando il diritto di acquisizione da parte del Consorzio”. A seguire arrivò un nuovo ricorso al Consiglio di Stato che ha dato la proprietà all’Asi.
LA RISPOSTA DEL CURATORE FALLIMENTARE – Orticalab riporta però la voce dell’ex curatore fallimentare di Isochimica, l’avvocato Leonida Gabrieli: “Allo stato è stata completata solo la parte superficiale della bonifica. Il grosso, costituito dai blocchi di amianto sotterrati, resta ancora intatto”. Lo scontro con l’Asi riguarda anche l’entrata in gioco di un soggetto privato, la Eurokomet, disposta a rilevare il capannone ed a provvedere alle bonifiche: “Il sindaco Di Nunno chiese alla curatela di acquistare l’area. Noi, allora, stabilimmo un prezzo, per altro estremamente favorevole trattandosi del Comune, di 2milioni e 550mila euro. Mettemmo il bene in vendita tre volte attraverso bandi pubblici. Purtroppo, però, il Comune aveva difficoltà economiche. Poi la giunta Di Nunno cadde e nessuno si è più interessato all’area. L’Eurokomet ci propose di bonificare l’area al fine di acquistarla. Noi, tuttavia, non concedemmo alcun diritto di prelazione e stabilimmo che le operazioni di bonifica avrebbero dovuto essere comprese in una cifra di 2milioni di euro. Nel 2010 la società presentò due istanze per chiedere maggiore disponibilità finanziaria, ma non acconsentimmo”.
DOV’E’ STATA L’ASI PER NOVE ANNI? – Ed ecco l’attacco all’Asi: “Pietro Foglia ci ha accusato di aver consegnato l’area all’Eurokomet pur sapendo che quell’azienda non era abilitata a bonificare siti inquinati da amianto. In tutta onestà per noi poteva vendere pure caramelle. Nel contratto che avevano sottoscritto c’era la bonifica del sito e ci sono tutte le certificazioni relative ai lavori effettuati. Il consorzio Asi spieghi per quale motivo solo nel 2007 si è ricordato dell’Isochimica. La Legge 448 del 1998 già gli consentiva di acquistare l’area. Eppure abbiamo registrato 9 anni di assoluto silenzio”. Parlando di cifre, secondo Gabrieli, per ripulire l’area ci vogliono 4 milioni di euro.
LA FOTOGRAFIA DEL 2013 – E questa era la storia al 2012. Il Mattino ci aggiorna su quanto successo nell’ultimo anno. Alcuni cubi di cemento sono abbandonati nel piazzale dell’azienda ed altri sono accatastati. Evidente lo stato di abbandono, tra crepe ed incuria. Da notare poi che a 100 metri dai suddetti c’è una scuola elementare ed a due chilometri piazza Libertà. E dalle crepe puo’ uscire la polvere pericolosa, senza alcun problema. Così i 469 cubi di cemento sono rimasti lì anche perché la Eurokomet, entrata in gioco nel 2008, commissionò la bonifica a Geisa e Tim ambiente salvo interromperla un anno dopo per assenza di risorse.
I SOLDI MANCANTI – Secondo l’ex consigliere comunale Gerardo Bilotta, presidente della specifica commissione di inchiesta a piazza del Popolo, per risanare l’area era necessario coprire le spese di Eurokomet -2 milioni-, pagare il trasporto dei blocchi alla discarica speciale di Pisa con tanto di tombatura del piazzale -3 milioni-, rilevare lo stabilimento -5 milioni- pagare la Bnl, alla quale spettano cinque milioni. Giulio Belmonte davanti a queste cifre fu netto: “non siamo interessati”. A quel punto ecco la proposta, sempre di Bilotta: “Il tribunale di Avellino verifichi la possibilità di dichiarare il disastro ambientale e avvii le pratiche per richiedere le somme al governo”.
UN’ETERNIT DIMENTICATA – Eppure nel frattempo l’Arpac ha raccomandato “la bonifica delle coperture in amianto e delle cisterne presenti nei capannoni, il ripristino in tempi brevi della tombatura dei cubi in cemento, la messa in sicurezza del silos collegato alla struttura, l’attuazione di un’indagine conoscitiva sul contenuto e sulla profondità della vasca scoperta, la pulizia dell’area esterna da eventuali residui di amianto e la realizzazione di un crono-programma per la bonifica del sottotetto”. Piccole opere per affrontare l’emergenza ma non realizzate. Ed ora con l’intervento del Tribunale si chiude una storia lunga 25 anni fatta di attese estenuanti senza alcun risultato. Gli unici davvero preoccupati sembrano gli operai, costretti a subire le conseguenze dell’avvelenamento da absesto ed ormai convinti di morire di morte certa. L’avvocato Ezio Bonanni ha definito l’Isochimica una Eternit sconosciuta. Ed oggettivamente non si puo’ dargli torto, sia per l’impatto sociale sia per il silenzio colpevole dei media in questi 25 anni. (Photocredit Wikipedia / L’Unità / Il Mattino)
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