di ALESSANDRA CAVALLARO «Lo sapevamo tutti a Taranto quello che stava accadendo e quello che sarebbe accaduto negli anni a venire». Il professor Michele Scialpi deve la sua «fortuna» lavorativa alla dura scuola che ha fatto al Santissima Annunziata dove ha lavorato dal 1992 al 2004. E’ qui che ha diagnosticato un numero di tumori «che altrove non ha mai più riscontrato». Scialpi, martinese di nascita, ultimamente si pone, grazie ai suoi studi e alle sue ricerche, ai vertici nazionali nel settore della radiologia. E’ infatti direttore della Scuola di specializzazione in radiodiagnostica, responsabile della struttura complessa di radiologia 2 dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, ed è anche presidente della Sezione di radiologia urogenitale della Sirm.
Dalle graduatorie Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, emerge che il settore scientifico disciplinare di diagnostica per immagini e radioterapia, con il suo contributo nell’ambito dell’urgenza ed emergenza, ha ottenuto importanti riconoscimenti. Ancora oggi Michele Scialpi si occupa di pazienti oncologici, per la diagnosi del carcinoma. «Il problema Ilva esiste da oltre vent’anni, da quando era ancora azienda di Stato – spiega Scialpi -. La casistica tumorale è sempre stata alta. Ricordo che riscontravamo spesso pazienti oncologici con tumori al polmone o al pancreas, incidenza che, altrove, non ho più trovato». L’anomalia non riguarda solo i numeri ma anche la gestione delle strutture sanitarie tarantine. «Il SS. Annunziata, raccoglie un bacino di utenza quanto tutti gli ospedali dell’Umbria» dice Scialpi, lasciando intendere che servivano e servono investimenti «importanti» sul territorio. Il punto è questo: tutti sapevano e nessuno ha fatto niente. «La Regione – continua Scialpi – ha operato come deoveva, a partire dai Piani di riordino, ma nessuno si è preoccupato di ascoltare i medici, di andare sul posto a capire dove e come intervenire». La politica, conferma Scialpi, non ha voluto vedere. E a causa di questa «cecità», che il lavoro del medico diventa più gravoso. «Senza una programmazione – dice ancora il radiologo – ci ritroviamo ad avere 100 pazienti da curare piuttosto che 10, ed è ovvio che il lato umano ne risenta. La soluzione per me è razionalizzare le risorse». Altrimenti i pazienti degli ospedali tarantini continueranno ad andarsene per non morire. |
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