PER IL DIBATTITO
Redazione di Operai Contro,
Molti non si sono ancora liberati dall’ideologismo.
Chiedono agli operai di scegliere: tra riformismo e rivoluzione.
Gli operai non fanno queste scelte ideologiche
Ti riporto quanto pubblicato su questo giornale in relazione al Partito Operaio. Se si va a vedere le versione cartacea di Operai Contro n 132 si può leggere l’articolo completo
Sono un operaio e sono d’accordo.
“!Organizzarsi ed agire come operai è già un programma, nel momento in cui gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria condizione sociale trovano già, in questa
ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati.
Questo partito si installa ed esprime la sua forza in un territorio che non è geografico, locale o nazionale: è un territorio sociale. La fabbrica, o qualunque luogo di lavoro dove esiste una comunità operaia è il territorio del partito operaio, lì bisogna condurre una lotta senza quartiere ai partiti politici delle altre classi.L’influenza politica sugli operai viene da fuori da questo territorio, i partiti politici
prendono gli operai a casa, nei quartieri, cittadini fra cittadini, il partito operaio ha a sua disposizione un territorio abbandonato dalla politica. Nella divisione dei poteri tocca al padrone la gestione dei
suoi uomini, direttamente, nessuna interferenza è consentita, la produzione è sacra. Il partito operaio può sfruttare a suo favore questa situazione, la comunità operaia può riempire questo spazio
vuoto, trovare in sé, in modo indipendente, un modo di agire politico che gli sia proprio.
Il partito operaio gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista. Il sindacalismo del “meglio questo che niente” viene travolto dalla crisi economica che riserva
agli operai il niente e il meno di niente. Invece di prendere forza dalla crisi economica, come prova del fallimento del modo di produzione fondato sul profitto, i vecchi sindacalisti si accordano per
gestire socialmente la miseria operaia con gli ammortizzatori sociali, in attesa
che passi la bufera. Mettiamo invece il caso che la bufera non passi velocemente, che il superamento della crisi richieda sacrifici insopportabili, mettiamo ancora che nella resistenza agli effetti della crisi gli operai si convincano che questo modo di produzione e di scambio ha fatto il suo
tempo e deve essere superato, verso quali prospettive dobbiamo muoverci? Non toccherà forse al partito operaio informale iniziare ad elaborare delle risposte?
L’estraneità di consistenti settori operai verso i classici partiti parlamentari si manifesta in tutti i modi, non tanto attraverso l’astensione, per quanto è un fenomeno quantitativamente rilevante ma
soprattutto nella militanza, nell’apporto concreto a sostenere questo o quel progetto politico. I partiti che conosciamo pescano i gruppi dirigenti e i militanti da altre classi, sono espressione di altre classi. Alla base della militanza dei partiti che si dicono “dei lavoratori” nella migliore delle ipotesi troviamo maestri, impiegati, tecnici, mai operai. Gli operai hanno prodotto invece, da quando sono
comparsi sulla scena sociale, organizzatori, agitatori e propagandisti che hanno messo nel sacco partiti con grandi mezzi e grandi sostegni economici. Gli operai non possono più produrre oggi un ceto politico siffatto? Non possono più produrre militanti della loro causa? Negare questa possibilità conviene ad altri non a noi stessi, dipende per quale partito bisogna impegnarsi, per quale partito iniziare a militare, ed una possibilità oggi è data:
si può diventare militanti ed organizzatori di un nostro partito, per un partito operaio, o almeno muovere in questa direzione i primi passi. I programmi, le forme organizzative le scopriremo insieme mano a mano che ci costituiremo in classe e con ciò in partito”
Un operaio
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