Redazione di Operai contro,
all’ILVA di taranto Riva, con la complicità del governo, continua ad ammazzarci.
T’invio un articolo della Gazzetta del mezzogiorno.
Mimmo Mazza scrive molto meglio del sottoscritto
un operaio dell’ILVA
di MIMMO MAZZA
TARANTO – Impianti – quelli funzionanti – tirati al massimo. Anomale accensioni delle torce della acciaieria non per questioni di sicurezza o di emergenza ma unicamente per la combustione di gas di scarto, con un automatismo ancora legato al ciclo produttivo. Emissioni diffuse, in diverse aree, in assenza di impianti per l’abbattimento delle polveri e dei fumi derivanti dal taglio dei materiali ferrosi o dalla gestione dei materiali incandescenti come nella discarica Paiole. È solo una parte di quanto confluirà nella relazione che i custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento e i carabinieri del Nucleo operativo ed ecologico di Lecce, guidati dal maggiore Nicola Candido, invieranno nelle prossime ore al giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco a seguito dell’ispezione notturna compiuta tra sabato e domenica nello stabilimento siderurgico Ilva.
Mentre a Roma si discute di norme e aumenti di capitale, a Taranto gli uffici giudiziari continuano ad essere sommersi da segnalazioni riguardanti l’inquinamento ancora in atto da parte dell’Ilva malgrado il sequestro del luglio 2012, gli arresti, le indagini, eccetera eccetera. Ma d’al – tronde l’acciaieria non ha mai smesso un solo giorno di produrre e dal luglio 2012 ad oggi rispetto agli 8 miliardi di euro stimati dagli stessi custodi giudiziari quale costo da sostenere per la messa a norma dell’area a caldo, sono stati spesi poco più di 100 milioni e dunque quegli impianti rischiano concretamente di essere tutt’ora fonti – sia pure legalizzati, stante la facoltà d’uso imposta dal Governo – di malattie e morte per gli operai e i cittadini di Taranto.
Il controllo effettuato l’altra notte rientra nella delega che la dottoressa Todisco ha conferito ai custodi giudiziari e ai carabinieri del Noe, sciogliendo la riserva sulla richiesta di revoca dei custodi presentatale dalla Procura dopo la legge Clini del dicembre 2012 che di fatto rimise l’I l va nella disponibilità dell’area a caldo, pur permanendo il sequestro. La Todisco decise di confermare la nomina dei custodi, in quanto «permanendo il vincolo cautelare sugli impianti dello stabilimento Ilva di Taranto, imposto con decreto del 25 luglio 2012 e confermato dal tribunale del riesame», lo stesso deve essere inteso «quale sequestro preventivo con facoltà d’uso degli stessi impianti riconosciuto alla società Ilva.
Facoltà d’uso che, come la Corte Costituzionale ha espressamente affermato, potrà non essere (ulteriormente) consentita dall’autorità giudiziaria nel caso in cui nel futuro, vengano trasgredite le prescrizioni dell’Aia riesaminata». Il gip ordinò agli stessi custodi «mediante accessi e sopralluoghi assidui, anche notturni, presso i siti in sequestro, avvalendosi dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Lecce» di «verificare e documentare lo stato dei luoghi e degli impianti sottoposti a vincolo cautelare, nonché la situazione in atto riguardante le emissioni inquinanti degli stessi impianti ed il relativo sistema di monitoraggio, riferendone puntualmente alla competente autorità giudiziaria con relazioni scritte almeno settimanali.
Solo il rispetto rigoroso del crono-programma degli interventi stabilito nell’Aia riesaminata assicura la tutela della salute e dell’ambiente e giustifica la prosecuzione dell’at – tività produttiva da parte dell’Ilva, da ritenersi altrimenti illecita e tale da innescare le conseguenze giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti – concluse la Todisco – per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e dell’ambiente». Comportamenti che, a quanto pare, sarebbero tutt’ora in corso.
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