Redazione di operai Contro,
la crisi economica si sta aggravando in Argentina.
Tutte le illusioni della lenta risalita dopo la crisi del 2001, le balle raccontate recentemente in occidente sui paesi cosiddetti emergenti che vivono un periodo di crescita del pil a doppia cifra, persino le alchimie sociali con le “fabbriche occupate e gestite dagli operai” che tanto hanno acceso le fantasie della piccola borghesia qui in Italia, si stanno infrangendo contro la dura realtà di una crisi generale
Nel corso del 2013 il peso argentino ha perso rispetto al dollaro il 24% in una lenta ma inesorabile agonia e nonostante la banca centrale e il governo abbiano cercato di limitare i danni con interventi sul mercato delle valute e restrizioni normative poste agli acquisti di dollari.
Questa settimana si è però avuta la solita accelerazione di quando la crisi prende la forma della crisi acuta del credito. In soli 2 giorni, infatti, il peso argentino ha perso un altro 14% contro dollaro. La banca centrale, giovedì, ha fatto l’ennesimo tentativo e ha buttato sul mercato altri 100 milioni di dollari delle sue riserve nel tentativo di tamponare la svalutazione, ma non è riuscita a soddisfare la fame degli argentini possidenti che hanno continuato ad acquistare, fissando lo scambio a 8 pesos per un dollaro. Il giorno prima il cambio era a 7, ma sul mercato nero è arrivato anche a 12. Poi l’annuncio del ministro dell’economia che le restrizioni poste dal 2011 all’acquisto di dollari verranno alleggerite: da lunedì sarà possibile acquistare dollari per viaggi all’estero e sarà consentito detenerli come «moneta di risparmio».
La crisi economica si ripercuote ancora una volta pesantemente sugli operai.
Riduzione degli straordinari, vacanze anticipate e, sempre più spesso, licenziamenti, i salari sono sempre più miserabili e non bastano a fronte dell’aumento dei prezzi.
Il 25% delle aziende argentine pianifica un taglio al personale nei prossimi 12 mesi.
Lo rivela un’indagine dell’istituto di consulenza di Buenos Aires SEL, specificando che alla base di questa tendenza c’è in primo luogo l’incertezza economica del Paese, che genera una forte flessione delle vendite. La difficoltà nella creazione di nuovi posti di lavoro, del resto, appare anche nelle cifre ufficiali diffuse dal Governo.
Secondo l’inchiesta, che viene aggiornata mese per mese e alla quale partecipano oltre 150 tra le più importanti aziende di diversi settori economici, una su quattro ha dichiarato di aver adottato o di avere in programma alcune decisioni definite ‘drastiche‘.
Tra queste vengono segnalati principalmente i licenziamenti per ragioni economiche e i procedimenti preventivi di crisi. Il 15% delle compagnie ha già dovuto applicare alcune di queste azioni e un altro 5% ha in programma di farlo.
Altre misure ‘drastiche‘ adottate dalle imprese sul proprio personale sono la riduzione degli straordinari, decisa dalla metà delle imprese intervistate, e la sospensione di uno o più turni di lavoro, spesso in modo definitivo. Rispetto all’anno precedente, insomma, la percentuale di aziende disposta a effettuare scelte ‘drastiche’ è cresciuta
La tendenza ha cominciato a manifestarsi alla fine del 2012. Da allora ha cominciato a crescere con una certa costanza fino a raggiungere un picco nel mese di luglio del 2013. Le conseguenze sui lavoratori già si sentono ma raggiungeranno il loro apice alla fine dell’anno, periodo di vacanze estive in questo Paese.
Quali sono le cause principali di questa tendenza al taglio dei posti lavoro?
La prima causa è senza nessuna ombra di dubbio la situazione di stallo economico del Paese. Nonostante l’INDEC (Istituto di Statistica argentino) abbia recentemente segnalato una crescita del 3,3%, questo dato non riflette la realtà. In primo luogo perché si tratta di un dato gonfiato politicamente, e poi perché il blocco delle transazioni in dollari ha praticamente paralizzato diversi settori chiave dell’economia argentina; primo fra tutti l’import-export, seguito a ruota da settore immobiliare. Da un lato le aziende non posso esportare perché hanno difficoltà a pagare in valuta straniera e dall’altro non si vendono case perché nessuno vuole essere pagato con gli svalutatissimi pesos argentini per valori medio alti.
Un lettore
La foto di una manifestazione a Buenos Aires
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