PER IL DIBATTITO
Ricevo e volentieri diffondo un testo che, nonostante l’imperdonabile prolissità (9 pagine!), ha il merito di fare pelo e contro pelo ai luoghi comuni dei numerosi sinistri allo sbando che, come vecchi monaci un po’ rincoglioniti, recitano le loro giaculatorie, senza capire ciò che dicono. Con conseguenze assai devastanti che han colpito anche aree e persone che ne dovrebbero essere vaccinate, un esempio tra i tanti: MARIA MATTEO, La grande paura («A», n. 386, febbraio 2014). E non è dei peggiori, anzi … ma di luoghi comuni retrò ne infilza un bel po’…Certo, le manifestazioni dei forconi alle fin delle fiere sono state poca cosa, ma restano assai significative per il polverone che hanno sollevato. Per cui ben venga il prolisso articolo dei torinesi, che è pur sempre una bella
inchiesta sul campo, aria fresca. Con qualche difetto. Vediamoli.
1. La base sociale dei forconi viene definita piccolo borghese, e sarebbe ancora vero se la crisi in atto non avesse scatenato la generale proletarizzazione dei cosiddetti ceti medi. Il declassamento è particolarmente amaro in Italia, l’ex paradiso artificiale della piccola borghesia. Un tempo, contadini, artigiani, piccoli imprenditori del commercio e dell’indutria erano la base elettorale della DC e del PCI di Togliatti & Co. Ed erano mantenuti, a suon di incentivi e agevolazioni fiscali (compresa l’evasione), a spese degli operai e dei lavoratori dipendenti. Poi, negli anni Novanta, il ceto medio si è allargato, sono arrivati gli emergenti: gli affaristi, gli immobiliaristi, i consulenti finanziari, i «creativi & cognitari», gli architetti … e tutta l’allegra combricola che vota per il Berlusca e per i sette nani del Pd. Sono coloro che fan soldi con i soldi … e sempre a spese degli operai anche se, questa volta,
i pennivendoli dicevano che gli operai non c’erano più … tanto per salvar la faccia.
Quando la doccia fredda della crisi è arrivata sono stati dolori e si capisce bene che dopo tante balle gli strati più deboli e plebei del ceto medio, i forconi appunto, si siano incazzati. Non hanno futuro. Hanno però un passato di ideologie più o meno reazionarie, che incombe su di loro come un macigno.
2. Motivo per cui incazzarsi non basta. La composizione sociale dei forconi, per quanto plebea, è alquanto eterogenea, comprende contadini che producono, mercatari che vendono, camionisti che trasportano … intervengono poi anche fattori localistici, per esempio rapporti più o meno favorevoli con le istituzioni. Tutto ciò ha fatto sì che il 9 dicembre, le proteste abbiano avuto una connotazione assai diversa da città e città. A Torino l’iniziativa ha assunto un significato del tutto particolare. E sarebbe bene dirlo e perché. Forse perché è una città in cui il forte disagio sociale si incontra e si riconosce in un movimento di protesta radicato e vivace, come il NOTAV, anche questo con una forte componente interclassista.
Fatte queste osservazioni, non mi resta che augurare buona lettura. Ne vale la pena.
D.E., MILANO, 7 febbraio 2014.
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