A seguire, il terzo articolo tradotto del numero di gennaio del periodico Operaio indiano Gurgaon Workers News. In questa parte si tratta il tema dell’imponente ed importante rivolta alla MARUTI SUZUKI di Manesar, vero spartiacque nella lotta operaia nel gigante asiatico, patria di alcuni fra i più ricchi uomini del mondo e contemporaneamente colma di bidonville estese a perdita d’occhio. La rivolta della MARUTI ha spinto i padroni delle multinazionali dell’auto a rivedere le strategie sullo sfruttamento operaio nell’intera India, coinvolgendo anche gli Operai fantasma dell’indotto.
INTERPRETAZIONE DI UNA RIVOLTA: DIVERSE PROSPETTIVE SUL 18 LUGLIO 2012
Abbiamo scritto un breve commento poco dopo quanto accaduto nell’estate del 2012, pubblicato nel numero 51 di Gurgaon Workers News. Un anno e mezzo dopo, vediamo che le reazioni alle agitazioni dipendono molto dal rapporto e dall’interesse delle varie formazioni politiche nei confronti degli Operai.
a) MARUTI SUZUKI ha definito esplicitamente la rivolta come un atto di “lotta di classe” utilizzando questi termini anche con i mass media. La reazione immediata è stata il licenziamento di 500 Operai a tempo indeterminato e circa 2500 interinali. Nell’ordinanza di MARUTI di agosto 2012, inviata in due lettere a tutti gli Operai cacciati, viene chiaramente citata come motivazione “l’istigazione e la partecipazione ai tumulti”. Altre importanti aziende del territorio hanno invece reagito aumentando considerevolmente i salari degli operai a tempo indeterminato (ad esempio HONDA HMSI li ha incrementati di 17000 rupie spalmati in tre anni) ed in alcuni casi, come alla NAPINO AUTO, sono stati richiamati Operai in precedenza allontanati e trasformati i contratti precari in fissi.
b) Lo Stato ha immediatamente dato man forte a MARUTI, preoccupata dagli effetti ampi ed a catena delle tensioni operaie più che dall’interesse della pacificazione sociale in senso lato. I disordini durante lo sciopero generale dei primi mesi del 2013 (vedasi il n°57 di Gurgaon Workers News) hanno confermato che MARUTI non è un caso isolato. La polizia era fornita di una lista di Operai attivi nelle aziende, quelli che formalmente aderivano al sindacato indipendente istituito l’anno precedente: li hanno poi seguiti fin oltre i confini dei distretti arrestandone 150. Sono stati imprigionati senza alcuna possibilità di pagare una cauzione per il rilascio e detenendoli di fatto come prigionieri politici. Lo Stato sa che questi “elementi sovversivi” difficilmente torneranno a lavorare nella zona industriale, rimanendo “disoccupati attivisti” nelle lotte per il reintegro in fabbrica.
c) Gli Operai a tempo indeterminato licenziati concentrano le loro campagne di lotta a sostegno della liberazione dei prigionieri e per il loro reintegro in fabbrica. Le loro attività sono in larga parte simboliche, come ad esempio scioperi della fame di un giorno manifestando nell’hinterland della zona industriale di Haryana, dato che lo Stato le ha bandite entro i confini delle medesime. Sotto la pressione del sistema giuridico ed in attesa delle sentenze, gli Operai definiscono pubblicamente la situazione come “una cospirazione padronale per vanificare gli sforzi del sindacato” mentre ufficiosamente la chiamano “violenza contro la maggioranza degli Operai”. Dobbiamo inoltre affermare che la grande massa di precari attivi durante le lotte del biennio 2011-2012 non stanno prendendo parte a queste battaglie. Per chi era a tempo fisso è difficile trovare un eguale impiego ad eguali condizioni, quindi molti si concentrano nella rivendicazione del reintegro, ben sapendo però che sarà molto difficile da ottenere. I precari hanno meno risorse e sono comunque meno attaccati al loro lavoro precedente, così cercano semplicemente un nuovo impiego.
d) La sinistra istituzionale ed i sindacati confutano l’etichetta della “cospirazione dei padroni”. Le loro battaglie nel 2011 si svolsero in favore dei “diritti costituzionali”, ovvero la libera associazione dei lavoratori. Il fatto che la lotta si sia espansa a più grandi questioni è per loro un problema, non essendo in grado di contenere le rivolte in un contesto “formale e civile”. Solamente questo sarebbe servito per rafforzare le burocrazie sindacali, facendoli accettare ai padroni come interlocutori ufficiali. Durante la lotta, gli Operai MARUTI si muovevano secondo lo schema “ascoltiamo tutti, comprese le forze politiche ed i sindacati ufficiali, ma ci muoviamo per conto nostro”. Senza offrire alcun sostegno alle iniziative, alcuni dirigenti sindacali tra cui il leader del MUKU presso la MARUTI di Gurgaon, ora utilizzano strumentalmente il “sostegno alle vittime” come arma propagandistica.
e) La sinistra marxista-leninista utilizza le solite tattiche. Tenuto conto del fatto che la sua influenza si è basata unicamente sui 150 Operai dei sindacati ed il fatto che abbiano stretto rapporti solo durante le lotte, hanno inizialmente denunciato la cospirazione padronale salvo poi parlarne in maniera diversa in circostanze meno pubbliche. Da allora uno o due articoli sono apparsi nelle loro pubblicazioni, che descrivono l’accaduto come espressione di massa della rabbia operaia, mentre in altre viene confermata la teoria della cospirazione. Inoltre l’evento viene descritto come “spontaneo”, quindi di fatto come un segno di immaturità nella coscienza di classe. Possiamo vedere tutto ciò come una posizione volontaristica, che non parta da ciò che è successo analizzandone le cause ma che parte da come le cose dovrebbero essere. Da luglio 2012 una parte della sinistra marxista-leninista ha voltato le spalle alla “aristocrazia operaia” delle grandi fabbriche concentrandosi sui “super-sfruttati” in settori non ancora organizzati; le restanti fazioni si sono impegnate in una sostanziale revisione delle precedenti posizioni interne, ad esempio mettendo in discussione la convinzione leninista che “i sindacati sono la primaria organizzazione degli Operai” continuando la battaglia per la nascita di sindacati indipendenti e di base.
f) I compagni del giornale Faridabad Majdoor Samachar segnalano il tentativo diffuso di inquadrare questi Operai come vittime dei padroni e dello Stato. Contro questa posizione avvertono la necessità di evidenziare che è stata l’attività operaia di massa ad attaccare i simboli del Capitale il 18 luglio di 2 anni fa. La rivolta viene descritta come un’espressione più generale della fragilità del sistema: nonostante le concessioni padronali antecedenti alla lotta e nonostante l’apparente “privilegio” di essere impiegati alla MARUTI SUZUKI, il malcontento generale scoppia allo scoperto. Gli Operai direttamente coinvolti possono essere vittimizzati, ma l’atmosfera generale si evolve lasciando Stato e Capitale in una situazione di “non-comprensione”. La “repressione” come ad esempio la militarizzazione attraverso la polizia della zona interna in MARUTI o l’incarcerazione continua degli Operai è il segno lampante che il sistema non è più in grado di integrare gli Operai con promesse materiali.
Siamo d’accordo con i compagni di Faridabad nel vedere la sommossa del 2012 come segno dei tempi, il cui significato sta nella crescente incapacità del sistema di placare il malcontento. Tuttavia riteniamo che, anche se il risultato della rivolta debba essere visto in un contesto più ampio, non possiamo ignorare il fatto che la collettività costituita nel biennio 2011-2012 è stata sciolta in conseguenza alla rivolta. È vero che gli Operai sono insorti perchè dopo più di un anno di lotta collettiva il pensiero di inchinarsi all’autorità del padronato, in particolare di quello della MARUTI, è stato avvertito come insostenibile. Ma è vero anche che la rivolta era espressione di una certa impasse della collettività medesima, rimasta nel biennio ’11-’12 confinata in MARUTI, a parte alcuni casi di solidarietà diretta e le occupazioni di fabbrica congiunte dell’ottobre 2011. Il fatto che non abbia preso piede una struttura organizzativa indipendente più ampia nel 2011 ha contribuito alle dinamiche di violenza di massa del luglio 2012: non ci inchiniamo al padrone ed alle sue concessioni, ma sappiamo anche che la nostra collettività di fabbrica è arrivata ad un vicolo cieco.
Siamo d’accordo con Faridabad che ci sia un significato più ampio della rivolta, ma al momento dobbiamo vedere che gli Operai della zona subiscono individualmente il risultato delle conseguenze: gli Operai protagonisti dell’attacco sono tra loro dispersi ed in qualche modo “vittimizzati”. Abbiamo incontrato gli ex Operai MARUTI in diverse occasioni: alcuni sono tornati ai propri paesi dopo essere stati inseriti nella lista nera; gli Operai a tempo indeterminato non sono riusciti a reimpiegarsi in uguale inquadramento se veniva scoperto che lavoravano in MARUTI in quel preciso periodo; una manciata di loro sono diventati “attivisti professionisti” attraversando un percorso di politicizzazione con tutte le sue conseguenze: dipendenza dalle gerarchie di partito ed un importante distacco dagli altri Operai “non ancora coscienti”. Abbiamo inoltre incontrato un Operaio che ha investito che ha investito parecchi soldi per aprirsi un negozio nei pressi dell’uscita dell’autostrada NH8: ha ancora il pagamento dei bonus in sospeso, ma molti dei suoi ex colleghi non risultano più reperibili per telefono. Un altro Operaio è ora impiegato come precario presso un produttore di macchinari di cemento: il suo racconto personale di quanto avvenuto alla MARUTI è in gran parte negativo, dichiarando che la rivolta ha segnato una fine che non sarebbe stata necessaria. Siamo sicuri che avrà anche ricordi positivi del biennio 2011-2012 da condividere in collettività Operaia, tuttavia il singolo bilancio di una sconfitta non è completamente staccato dal più ampio clima nell’intera classe.
È vero, come pongono la situazione i compagni di Faridabad analizzandola in parallelo, che la Comune di Parigi fu un’esperienza di importanza storica per la lotta Operaia al di là della sua esistenza temporale e spaziale limitata e nonostante sia stata repressa nel sangue. Potrebbe anche essere vero che la Comune non sarebbe mai nata se tutti si fossero seduti ad analizzare razionalmente la prospettiva della loro rivolta. Tuttavia sentiamo la necessità di sostenere proprio questa “analisi collettiva” nelle lotte in corso che ha come scopo quello di fare “passi strategici” per quanto possibile. Per un’analisi del rapporto tra “autonomia operaia” ed atti di violenza operaia si prega di leggere questo opuscolo di Mouvement Communiste cliccando QUI .
Nella parte che segue faremo un breve riassunto sui metodi contraddittori di MARUTI SUZUKI e dello Stato per tentare di impedire la rinascita della collettività operaia.
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