Per il di battito.
Negli ultimi tempi, su questo telematico, ci sono stati molti interventi, sia sotto forma di lettere sia di commenti ad articoli, che hanno posto problemi di tattiche e di strategie. Questo sicuramente è un fatto positivo, vuol dire che il “che fare” è un problema condiviso tra i lettori. Non basta, però, porsi dei problemi, bisogna anche prospettare delle soluzioni, delle vie da seguire. E non è facile. Allora mi sono deciso di stimolare il dibattito rendendo comprensibile tante questioni emerse, cercando di interpretare anche i dubbi dei lettori. Voglio, però, fare prima delle opportune precisazioni, necessarie per non essere fraintesi: il mio intervento vuole essere costruttivo, di chi condivide pienamente gli intenti, le prospettive e gli orizzonti utopici di tutti quelli che orbitano intorno a queste pagine on-line; le mie intenzioni sono di stimolare il dibattito, per la costituzione del Partito Operaio. Se con questo mio intervento, involontariamente, colpirò la sensibilità di qualcuno, me ne scuso in anticipo, ma penso che il dibattito tra chi vuole, sinceramente, cambiare questo stato di cose, debba essere sempre franco, ma anche schietto e diretto, senza peli sulla lingua. Premetto che io sono un lettore “storico” del giornale, ne ho seguite le evoluzioni e spero di intercettare l’esigenza di tanti lettori, più o meno assidui, che affollano questo telematico. Voglio però precisare che mi rivolgo principalmente ai tanti gruppi che orbitano intorno al giornale, non tanto a chi fa parte dell’ASLO di cui condivido la linea. Andiamo, però, al dunque.
IL PROBLEMA DELLE STRATEGIE. Parliamoci chiaro, se si vogliono cambiare le cose, realmente, si deve modificare il tipo e il modo di produrre le merci, produrre per il soddisfacimento diretto dei bisogni e non per ottenere il profitto. Ciò è possibile solo con la socializzazione, di fatto, dei mezzi di produzione. Questi sono dei principi elementari per chi pratica il materialismo. Allora si possono fare tutti i discorsi teorici possibili, ma solo quando gli operai occupano le fabbriche, fanno i presidi o i picchetti si può cambiare la realtà. Cosa c’è di strano nel porre la centralità operaia, come unica classe sociale portatrice di cambiamento reale? Se si socializzano i mezzi di produzione, nei fatti, tutta la società cambia, soprattutto se contemporaneamente si modifica il modo di produrre le merci. Tra dire il fare, però, c’è di mezzo il mare: se non si coinvolge il popolo, nella prospettiva del cambiamento, non si va da nessuna parte, se non si convince, la maggioranza della popolazione che tutti avrebbero un beneficio da un mutamento radicale della struttura socioeconomica della società, ci potranno essere solo delle vittorie parziali e non sostanziali. Il popolo deve vedere gli operai non avversari ma come “avanguardia rivoluzionaria”. Come diceva Che Guevara, però, il coinvolgimento delle masse deve avvenire con l’esempio e la pratica rivoluzionaria, non con la coercizione. Cosa si fa in questo senso? Allora bisogna dire a chiare lettere che non è il tempo di “mantenere la verginità e la purezza rivoluzionaria”, bisogna “sporcarsi le mani con il popolo” e raggiungere quei ceti sottoproletari che potrebbero prendere “altre strade”. Se non si riesce in questo coinvolgimento, vi è un errore di comunicazione su cui bisogna riflettere. Per questo, come ho detto in un’altra occasione, non bisogna storcere il naso nel partecipare, promuovere o essere coinvolti in manifestazioni e proteste anche se non si condividono appieno gli obiettivi e le finalità. La priorità attuale è creare aggregazione. A questo riguardo penso che le assemblee operaie cittadine siano utili se si muovono in questa direzione, se si riducono in discussioni tra pochi intimi no.
GLI ASPETTI TEORICI. Le analisi teoriche sono doverose e necessarie, come ho sempre affermato, la prassi e la teoria devono andare di pari passo. Sarebbe sbagliato, però, aspettarsi l’intervento di qualche esperto calato dall’alto, in grado di analizzare la realtà attuale. Penso che nel partito operaio ci sia tanta gente con le palle in grado di analisi teoriche. Fatevi sotto spendetevi in questo senso. Di intellettuali di professione e delle loro logorroiche discussioni, possiamo e dobbiamo farne a meno. Bisogna,però, uscire dalla logica della delega che si annida in ciascuno di noi. Quando su questo giornale leggo: “c’è qualcuno che sappia che fare” dico: “ sbracciatevi e fatevi sotto”, basta di desiderare la rivoluzione, bisogna costruirla con il duro lavoro quotidiano! Oppure vogliamo passare il resto della vita che ci rimane nel piangerci addosso, nell’analizzare le cause del fallimento di rivoluzioni passate? C’è la realtà attuale d’analizzare in tutta la sua complessità, da qui bisogna partire per proporre soluzioni tattiche e strategiche, Marx non sarebbe contento se non progrediamo, rispetto ai suoi tempi, nello studio della realtà oggettiva.
SALVAGUDIA DEL TERITORIO. Non uso mezzi, la difesa del territorio è un dovere rivoluzionario, punto. Se passiamo il nostro tempo nel leggere le notizie commentare i post più belli sul social network, per calmarci la coscienza e andare a letto pensando “come sono stato comunista oggi”, non abbiamo capito niente! Valgono molto più piccole azioni concrete che tante discussioni teoriche! Bisogna vivere il proprio territorio denunciando senza ritegno tutte le contraddizioni, agendo in prima persona, o in gruppo. Personalmente dove abito, sono da solo a essere iscritto all’ASLO, ma ciò non mi ha impedito di denunciare tutte le situazioni di cui sono venuto a conoscenza. Che cosa avverrebbe se ciascuno di noi agisse allo stesso modo?
CONCLUSIONI. Spero che questo mio intervento sia di stimolo per agire spinga qualcuno a uscire dal torpore in cui si è cacciato, per conto mio continuerò con determinazione nelle analisi teoriche e nella denuncia di tutte le magagne conosciute, spero di essere seguito. “NON E’ PIU’ TEMPO DI PETTINAR LE BAMOLE” MA E’ IL TEMPO DI AGIRE, TRAVOLGIAMO GLI EVENTI PRIMA CHE GLI EVENTI TRAVOLGONO NOI.
PIERO DEMARCO
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