PER IL DIBATTITO
A proposito di internazionalismo proletario e romanticismo rivoluzionario
Nell’Europa occidentale, i residui di vecchio ceto sedicente rivoluzionario sono del tutto incapaci di guardare oltre la punta del proprio naso. Si appagano di belle frasi edificanti, ripetendole come un mantra. Che lascia il tempo che trova.
Uno dei luoghi comuni, continuamente reiterato, è il concetto di internazionalismo proletario, che sembra vivere di virtù propria, come lo spirito santo dei cristiani; indipendentemente dall’evoluzione sociale e dalla situazione storicamente determinata.
Lo sappiamo. Fin dalle sue origini, il movimento operaio e proletario europeo assunse una connotazione politica internazionalista. Era inevitabile, dal momento che le sue sorti erano strettamente legate a un modo di produzione, il capitalismo, che andava diffondendosi a livello planetario.Benché questo rapporto avesse una parvenza oggettiva, alimentò molte illusioni politiche destinate a svanire con la Prima guerra mondiale, quando i maggiori partiti socialisti, seguiti da molti anarchici, si schierarono con la propria borghesia, in difesa della Patria.
La prospettiva internazionalista sembrò rivivere con la rivoluzione russa e con la fondazione dell’Interna-zionale comunista, nel marzo 1919. Fu un’illusione ancor più effimera. Il primo arretramento si ebbe già nel giugno 1921, al Terzo congresso dell’Internazionale, con la tattica del Fronte Unico. Questa “tattica” segnava la subordinazione dell’Internazionale alla ragion di Stato sovietica che, dall’“assalto al cielo”, stava passando alla coesistenza pacifica con i Paesi capitalisti. L’esito fu l’intruppamento totalitario dei proletari nei fronti della Seconda guerra mondiale, dove la lotta per il socialismo degradò nell’antifascismo democratico.
Il passo successivo fu l’antimperialismo generico: ovvero una visione geo-politica che sopravvaluta la borghesia, cui subordina – e negandolo implicitamente – lo spazio politico degli sfruttati.
Ora, la situazione sta mutando radicalmente; perché stanno venendo meno quei fattori materiali che, nel corso del Novecento, favorirono la convergenza – se non la fusione – dei proletari con la propria Patria, e quindi con la borghesia. Ma lo scenario che si delinea è profondamente mutato rispetto al passato. Basta vedere i flussi migratori che dalle sconvolte periferie del mondo si riversano nelle metropoli non più in grado di assicurare prospettive di sviluppo e progresso. In queste condizioni, cresce di giorno in giorno un esercito industriale di riserva che, in questa società, non ha alcun interesse: ha da perdere solo le proprie catene. E ancor meno interesse ha nella difesa di una Patria, che non ha.
Dino Erba, Dalla Comune alla caserma. C’era una volta l’internazionalismo proletario (Cosa lega William Haywood a Sultan-Galiev …? e Dal Komintern all’Nkvd), All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2014.
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