Redazione di Operai Contro,
vi invio un articolo di Repubblica.
Ancora una volta è la dimostrazione che il parlamento dei padroni è un rifugio di delinquenti
Un astensionista
Un dossier segreto commissionato dal Viminale svela il meccanismo attraverso il quale i soldi del pocket money, destinati agli ospiti dei centri d’accolgienza, non vengono distribuiti e spariscono nel nulla. La mancata erogazione dei 2,50 euro quotidiani cui ha diritto ogni migrante, nel solo Cara calabrese di Isola Capo Rizzuto, vale 3.750 euro al giorno che, moltiplicati per i 21 mesi di permanenza media dei richiedenti asilo, arrivano a superare i due milioni. Se si considera poi che la ditribuzione della quota non avviene in modo regolare anche in altri centri italiani, le cifre lievitano ulteriormente. Si tratta di denaro che lo Stato versa agli enti gestori. RE Inchieste è entrata in possesso del documento che il ministero dell’Interno tiene in un cassetto da mesi
Illeciti e irregolarità nell’erogazione del “pocket money”, la paga giornaliera ai richiedenti asilo, nell’impiego di mediatori culturali, interpreti e psicologi. E poi mancato rispetto delle procedure legali da parte di molte questure, come nel caso di quelle di Roma, Caltanissetta e Crotone che non rilasciano il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo allo scadere dei 35 giorni di permanenza nel centro. E ancora, un quadro impietoso e desolante degli alloggi in cui i migranti, in particolare i richiedenti asilo, sono costretti a vivere, da Gorizia a Trapani. È quanto emerge da un rapporto riservato rimasto nei cassetti, o meglio, nei computer perché si tratta di file Excel, del ministero dell’Interno, mai reso pubblico, di cui Repubblica.it è entrata in possesso.
Presenza di armi bianche, di scarafaggi nei container, mancanza di docce e di acqua calda, servizi igienici in comune per uomini e donne, lavandini otturati, rubinetti e vetri rotti, pulizia scarsa, bambini senza assistenza pediatrica. Sono alcuni degli esiti di un doppio monitoraggio che le organizzazioni del progetto Praesidium, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, l’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), Save The Children e la Croce Rossa hanno realizzato nel corso del 2013 su 18 centri italiani, nove Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e nove Centri di identificazione e di espulsione (Cie), su mandato ispettivo del Viminale.
Migliaia di persone costrette a vivere anche per due anni dentro un Centro di accoglienza – il tempo effettivo per l’esame della richiesta d’asilo contro i 35 giorni previsti dalla legge – senza poter avere neanche una bacinella e il sapone per fare il bucato. Perché il capitolato d’appalto del ministero prevede una serie di servizi come la lavanderia e la barberia, che spesso sono disattesi dagli enti gestori. Profughi segregati a chilometri di distanza dalle città, senza mezzi di trasporto, e dunque costretti a fare anche cinque chilometri a piedi su strade pericolose per raggiungere il primo centro abitato. Giovani rifugiati che alla fine del lungo periodo passato nei Cara, ne escono senza possibilità di inclusione sociale perché non hanno neanche imparato l’italiano. I corsi di lingua, quando ci sono, sono scarsi o mal strutturati.
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Sotto il profilo della gestione, merita attenzione quanto è scritto sul centro di accoglienza di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, vicino a Crotone, dove gli operatori del progetto Praesidium presenti all’interno del Cara hanno rilevato lo scorso settembre che “l’erogazione del pocket money avviene tramite la distribuzione di due pacchetti di 10 sigarette a settimana. Il migrante non ha la possibilità di acquistare nessun altro bene né gli viene fornita una chiavetta elettronica o una carta moneta per poter spendere l’importo rimanente. Da settembre 2011 a maggio 2013, gli ospiti riferiscono che il buono economico non è stato erogato”.
La denuncia dei migranti è stata presa sul serio da chi ha scritto il rapporto che, nella parte riservata alle raccomandazioni, chiede in caratteri maiuscoli di “riattivare immediatamente l’erogazione del pocket money” e di “costituire un sistema informatizzato che permetta di rilevare l’effettiva tracciabilità dell’erogazione del buono economico”.
Il pocket money è la quota di due euro e cinquanta centesimi che spetta al migrante sull’importo giornaliero pagato per ogni ospite dallo Stato ai gestori del centro. Nel caso di Isola Capo Rizzuto, la cifra complessiva erogata è pari a circa 21 euro, con i quali devono essere garantiti tutti i servizi. Il centro ha una capienza ufficiale di 729 posti, ma come gli altri Cara è solitamente sovraffollato. Al momento del monitoraggio erano presenti 1497 persone, oltre il doppio dei posti disponibili. Gli ospiti erano 1600 quando Repubblica ha visitato il Cara lo scorso 3 settembre (il rapporto porta la data del 25 settembre 2013 ma non è mai stato reso pubblico). Facendo un calcolo approssimativo di 2,50 euro per una media di 1500 persone, si arriva alla somma di 3.750 euro al giorno che moltiplicato per 21 mesi, cioè 630 giorni, fa oltre due milioni di euro.
Anche con un numero di ospiti pari alla capienza, si raggiunge una cifra a sei zeri che, leggendo questo documento, sembra non sia stata erogata ai suoi legittimi destinatari, cioè i profughi fuggiti da guerre e persecuzioni ospitati nel Cara calabrese. Nel rapporto c’è scritto che andrebbe predisposto un paniere di beni da poter acquistare all’interno del centro o previste soluzioni alternative, come la possibilità di accumulare l’importo mensile del buono per pagare le marche da bollo necessarie al rilascio del primo permesso di soggiorno e del documento di viaggio. Nel file si sottolinea che quando il pocket money è stato erogato, ai migranti sarebbero stati consegnati solo due pacchetti di sigarette da 10 a settimana come equivalente di tutto l’importo settimanale pari a 17 euro e cinquanta centesimi.
Il centro è gestito da dieci anni dalla confraternita della Misericordia fondata dal parroco di Isola Capo Rizzuto, il rosminiano don Edoardo Scordio, e dal suo uomo di fiducia Leonardo Sacco, attuale vicepresidente delle Misericordie d’Italia. L’ultima gara d’appalto triennale vinta dalle Misericordie (nel 2012 contratto valido fino al 2015) è stata di 28.021.050 euro iva esclusa.
Nello stesso periodo in cui le organizzazioni di Praesidium realizzavano il rapporto, Repubblica aveva chiesto al direttore del Cara, Francesco Tipaldi, come venisse distribuito il pocket money. “Diamo l’equivalente dei 2 euro e cinquanta centesimi giornalieri in beni”, è stata la risposta. “Dividiamo i 1600 ospiti in diversi giorni per poter accedere al pocket money, non lo diamo con cadenza quotidiana perché questa attività durerebbe 24 ore, ma lo suddividiamo in maniera settimanale”. I disservizi riscontrati nel centro crotonese sono anche altri. “La distribuzione dei beni consumabili avviene ogni 20-30 giorni circa, fatto salvo per i nuclei familiari”, si legge nel rapporto. “Il personale del servizio socio-psicologico non sembra essere proporzionale al numero degli ospiti presenti nel centro: ci sono tre psicologhe per circa 1400 ospiti. Il servizio di mediazione culturale non garantisce la copertura delle principali lingue parlate dagli ospiti presenti nel centro. Ad esempio non vi sono mediatori per gli ospiti provenienti dalla Somalia e dal Bangladesh. L’ente gestore ha fornito un organigramma assolutamente inadeguato perché troppo generico”. Ma sono state riscontrate anche carenze sanitarie: “Non è garantita l’assistenza pediatrica ed è difficile eseguire vaccinazioni; le condizioni dei servizi igienici del centro d’accoglienza sono assolutamente inadeguate a causa della mancanza di pulizia e del danneggiamento dei sanitari”. Infine, gli alloggi nei container sovraffollati e l’impianto di condizionamento non funziona.
Il rapporto evidenzia problemi nella gestione del pocket money anche nel Cara di Restinco, a Brindisi, gestito dal consorzio Connecting People di Castelvetrano. I vertici del Consorzio sono stati coinvolti in un’inchiesta della magistratura su fatture gonfiate in un altro Cara, quello di Gradisca d’Isonzo. Tredici i rinviati a giudizio dal tribunale di Gorizia, di cui 11 del consorzio trapanese, fra cui Giuseppe Scozzari, ex presidente del consiglio di amministrazione, per associazione per delinquere, truffa e frode in pubbliche forniture, e due funzionari della prefettura tra cui un vice prefetto, per falso in atti pubblici. Il consorzio si è difeso affermando che esiste una relazione della prefettura di Gorizia che attesta la correttezza delle fatturazioni. L’inizio del processo è previsto per giugno.
A Restinco, rileva il dossier, “l’ammontare giornaliero di 2,50 euro del pocket money può essere speso dagli ospiti nell’acquisto di beni presenti al corner shop o nell’acquisto di bibite/snack/bevande calde nei distributori automatici presenti nel centro. Gli ospiti non possono accumulare l’importo giornaliero del pocket money e devono consumarlo nel giro di due giorni, pena la cancellazione dell’importo residuo non speso”. Non è specificato però che fine fanno le somme cancellate. Nel Cara brindisino: “Non sono presenti mediatori che coprano tutte le lingue parlate dagli ospiti. L’ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa ad eccezione di partite di calcio. L’ambulatorio medico del centro presenta gravi condizioni di precarietà igienica”.
A Bari, in un centro che ospita 1400 richiedenti asilo, pari al doppio della capienza, gestito dalla cooperativa Auxilium “è stata riscontrata la presenza di scarafaggi in tutti i moduli visitati” e anche qui “l’ente gestore non organizza nessuna attività ludico-ricreativa ad eccezione di partite di calcio. L’attesa per l’inserimento dei migranti nei corsi è molto lunga e la durata degli stessi è scarsa”.
Nel cara di Borgo Mezzanone (Fg) gestito in quel momento dalla Croce Rossa, è stata rilevata “insicurezza per la presenza di ospiti senza titolo e il possesso di armi rudimentali quali coltelli da cucina e barre in legno o ferro”. I migranti hanno riferito che gli alloggi non vengono mai puliti e l’igiene è insufficiente. Non c’è il servizio di lavanderia e non vengono distribuite bacinelle né stenditoi.
Anche a Gradisca d’Isonzo, nel centro ancora gestito da Connecting People, “le condizioni igieniche dei servizi igienico sanitari sono piuttosto scarse. La qualità dei vestiti forniti è molto bassa e il cambio di vestiario avviene ogni 3 mesi. L’ente gestore ha attivato un corso di lingua italiana solo qualche settimana prima della visita di monitoraggio. Il corso risulta, però, inadeguato poiché i posti disponibili sono pochi e i tempi di attesa per l’acceso troppo lunghi (anche fino a due mesi)”.
A Caltanissetta, un Cara da 500 persone è fatto di container vecchi “in cattivo stato, e in condizione di evidente sovraffollamento”, con i bagni in condizioni igieniche “estremamente carenti, soprattutto a causa della ruggine e dell’allagamento continuo del pavimento provocato dalle frequenti otturazioni dei lavandini che vengono condivisi da un elevato numero di persone”. A questo contribuisce la mancanza di un servizio di lavanderia, per cui “gli ospiti lavano i vestiti nei lavabi dei bagni, con lo stesso sapone che usano per l’igiene personale”. L’ente gestore era in quel momento la cooperativa Albatros (a cui è poi subentrata Auxilium dal primo ottobre) che “si è rifiutata di fornire l’organigramma dettagliato del personale”. Ma, secondo il documento, “i servizi di supporto socio-psicologico e legale sono apparsi insufficienti per il numero complessivo di stranieri presenti. I corsi di lingua italiana vengono erogati dai mediatori culturali e non da personale qualificato. Nessuno degli ospiti intervistati era in grado di parlare la lingua italiana nonostante fossero ospiti del centro già da diversi mesi”. Inoltre, “i migranti intervistati hanno riferito di non aver ricevuto tutti i beni che spettavano loro e che gli asciugamani non sono mai stati sostituiti durante tutta la loro permanenza al Cara”.
Il monitoraggio evidenzia anche alcuni elementi positivi che sono un po’ ovunque la buona disponibilità degli operatori, l’adeguatezza dei pasti e l’iscrizione a scuola dei bambini.
Quelle regole non applicate su cui adesso il Viminale deve fare luce
ROMA – Secondo il capitolato d’appalto dei Centri dell’immigrazione, pubblicato sul sito del ministero dell’Interno, dovrebbero essere le prefetture a controllare che i contratti stipulati con gli enti gestori vengano rispettati. Dai file, però, emergono irregolarità gestionali e procedurali, oltre che strutture fatiscenti. Ne sono responsabili, nell’ordine: le cooperative che sono gli enti gestori, le questure e il Viminale. Le organizzazioni che hanno monitorato i centri non hanno diffuso pubblicamente queste informazioni. Si tratta comunque di realtà che operano con il ministero dell’Interno. Nel caso della Croce Rossa che ha ispezionato l’ambito sanitario, c’è anche un conflitto di interessi, essendo la Cri a sua volta gestore di diversi centri nel momento in cui è stato realizzato il dossier, come i Cie di Torino e di Milano e il Cara di Foggia.
Alla luce di tutto questo restano alcune domande. Sono passati sette mesi da quando il Viminale ha avuto i risultati del monitoraggio realizzato con l’uso di soldi pubblici: perché i risultati non sono stati pubblicati? Quali misure intende utilizzare per migliorare l’accoglienza?
Sempre secondo il capitolato d’appalto, gli enti gestori devono garantire i servizi di barberia e lavanderia, una dotazione minima di personale per l’assistenza 24 ore su 24 e figure professionali adeguate al relativo compito. I kit igienici forniti agli ospiti (sapone, shampoo, dentifricio) devono essere costantemente sostituiti sulla base di una dose monouso giornaliera. I disservizi per “mancata o inesatta esecuzione dei servizi presenti nel contratto”, rilevati in sede ispettiva, di controllo e di monitoraggio o lamentati dagli utenti con riscontri fondati, devono portare a una penale di almeno il 3% del corrispettivo mensile ma è prevista anche la possibilità di un risarcimento dei danni più alto. È stata mai applicata questa norma del contratto d’appalto? E se non lo è stata, quale è il motivo?
Infine, i soldi del pocket money, che nel solo Cara di Isola Capo Rizzuto ammontano a due milioni di euro, stanziati dallo Stato e non erogati a chi ne aveva diritto, dove sono finiti?
Tra emergenza cronica e business
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