Redazione di Operai Contro,
Negli ultimi tempi le notizie su fatti di corruzione sono di attualità, e stanno facendo emergere la generale corruzione dei politici e amministratori. Gli intellettuali irreggimentati hanno un gran da fare per neutralizzare la portata di tali notizie: alla lunga possono essere messe in discussione le basi di questo sistema socioeconomico, bisogna dare “la giusta chiave di lettura dei fatti” (dal loro punto di vista), dei fatti avvenuti, evitare che le persone si schifino troppo del sistema e dei tanti personaggi che vivono alle spalle di chi lavora. Ecco che allora tutta la stampa, compresa quella cosi detta progressista, cavalcare l’onda delle notizie, per affermare con decisione la tesi: “Bisogna fare pulizia delle mele marce, ma il nostro sistema socioeconomico è l’unico possibile, il più efficiente e sostenibile”. A ogni fatto di corruzione si ripete lo stesso rituale: si da addosso ai corrotti e corruttori, delle eccezioni ci mancherebbe altro, si ripete fino allo spasmo che “c’è bisogno del ripristino della legalità”; nello stesso tempo, però, si mette in discussione l’eccessivo protagonismo dei giudici che mettono troppo il naso nei lavori pubblici, e si cerca neutralizzare i giudici troppo intraprendenti, come sta avvenendo adesso. Passata l’onda dell’attualità, dopo un po’ di tempo, tutto torna come prima: nessuno finisce realmente in carcere, i soldi truffati non sono restituiti alla collettività ma vanno a finire nella voragine del debito pubblico; alla fine toccherà al popolo fare altri sacrifici “ per contribuire a sanare il debito pubblico”.
In realtà è il capitalismo, in tutte le sue declinazioni, compreso il capitalismo di stato, a essere inefficiente e non equo, e gli sprechi non riguardano, come si vuol far credere, fatti di corruzione o di illegalità; molto spesso i soldi pubblici sono letteralmente disseminati in tante inutili “opere pubbliche”, su cui nessuna magistratura indagherà, perché perfettamente “legali”. Ed è proprio di questo che voglio parlare.
Dalle parti dove abito, in provincia di Enna, sono stati eseguiti dei lavori di “decoro urbano” in aperta campagna, come ben si vede dalla foto allegata! Per sistemare una fontana, costruire trecento metri di marciapiede, illuminare questo tratto di strada, collocato a tre chilometri dal più vicino centro abitato, dove nessuno si sposta a piedi, sono stati spesi 105 mila euro! Per quasi due mesi, qualche anno fa, sono stati impiegati più di dieci persone, impiegate part-time per conto di vari enti pubblici. Certo un’opera utile: gli animali della campagna potranno spostarsi senza infangarsi le zampe quando piove! Ed per questo che sono stati spesi 105mila euro mentre, nei paesi vicini, ci sono strade su cui non è tanto consigliabile andare a piedi perché prive di marciapiedi e di illuminazione notturna!
Quante storie come queste si possono raccontare in tutt’Italia? Storie di sperperi legali, dove “tutte le carte sono a posto”, allora lo sperpero del denaro pubblico è solo da ricercarsi nell’illegalità? Vediamo altri casi di sprechi legali: per la non costruzione del ponte sullo stretto di Messina, con ogni probabilità, saranno pagate delle penali che ammonterebbero a circa 700milioni di euro! Soldi pubblici letteralmente buttati a mare (nel mare dello stretto per essere precisi), mai sono stati spesi tanti soldi per “non fare un’opera”! Tutto assolutamente legale, per carità, le ditte che non possono spartirsi la torta devono essere rimborsate, le leggi del mercato lo impongono! Comunque vada a finire la vicenda, però, per la non costruzione del ponte sullo stretto sono stati spesi 60milioni in progetti e simulazioni varie, denaro pubblico sciupato legalmente.
Cosa dire, infine, della vicenda di Punta Perotti a Bari? Lo stato italiano è stato condannato a risarcire,dalla corte di giustizia europea, 45milioni di euro ai proprietari del suolo e degli immobili perché gli stessi sono stati costruiti “nel rispetto delle leggi allora vigenti”, la borghesia ha ristabilito la “sua legalità”, che sovrasta il diritto del rispetto del paesaggio.
Allora vorrei concludere con delle considerazioni: il problema non è, solo, il rispetto delle leggi perché queste, generalmente, sono emanate per difendere i profitti e le rendite, non sempre ciò che è legale è anche giusto. Le rendite, da quella edilizia a quelle finanziarie, sono legali, ma sono giuste? La rapina delle materie prime nei paesi del terzo mondo sono legali, ma sono giuste? Ha senso, perciò, far emergere tutte le contraddizioni di questa società in declino, ma non “ripristinare la (loro) legalità” ma per cambiare radicalmente la società e sostituirla con una dove il popolo sia direttamente coinvolto nei processi produttivi, e quindi decisionali, allora avrebbe senso “il rispetto della legalità”.
PIERO DEMARCO
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