Redazione di Operai Contro,
I giudici da giovedì mattina cominciano l’udienza preliminare del processo contro 52 imputati coinvolti nel disastro dell’Ilva di Taranto.
Il cinema è già pronto a raccontare drammi e veleni, inquinamento e morti atroci consumate all’ombra del Siderurgico che spande Polvere rossa.
Intanto la Magistratura a Taranto continua il ping-pong e spesso interviene il padreterno per eliminare gli imputati.
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Un lettore
È proprio Polvere rossa il titolo del film tratteggiato con il magistrato-scrittore Giancarlo De Cataldo da Marco Amenta, il regista ora pronto a girare in Puglia muovendosi fra “opposte barricate”, come chiama «quelle di chi difende comunque il lavoro, allarmato dal ricatto occupazionale, e quelle di chi punta a tutelare la salute di operai e cittadini, terrorizzati dall’exploit di ammalati di tumore e da tanti che non ce la fanno».
Il tumore di Stefano
È soprattutto uno di questi protagonisti della sofferenza targata Ilva ad aver toccato le corde del regista e degli autori, compresa la sceneggiatrice Heidrun Schleef. Il nome dell’operaio ammalato è Stefano. Un operaio di 39 anni del quale Amenta parla commosso al Festival del cinema di Taormina, annunciando l’iniziativa: «Da un anno lavoro ai sopralluoghi e l’ho incontrato tante volte parlando della fabbrica, delle ciminiere che sputano veleno, della città che non vuole rinunciare a migliaia di posti di lavoro, ma un tumore alla gola contratto nello stabilimento s’è portato via Stefano. E a lui dedichiamo il film».
Veleni e omissioni
Una storia, un simbolo, un filo conduttore per una vicenda ancora da definire sul piano giudiziario, anche se il giudice per l’udienza preliminare Patrizia Todisco è pronta ad esaminare la correlazione tra inquinamento e malattie gravi, in alcuni casi con esito mortale, come sostiene la Procura che chiede il rinvio a giudizio per 49 persone fisiche, compresa la famiglia Riva, e tre società: Ilva Spa, Riva Fire e Rivs Forni elettrici. Tutti accusati di una somma di reati che vanno dall’avvelenamento di sostanze alimentari all’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, dal danneggiamento aggravato di beni pubblici al getto e allo sversamento di sostanze pericolose, fino all’inquinamento atmosferico.
I Riva nella tempesta
Di questo si parla in una palestra attrezzata come un’aula giudiziaria, considerata l’affluenza di pubblico, cronisti e cameraman. Diverse le sedute previste, a porte chiuse. Per i giornalisti è previsto uno spazio antistante la palestra. Il principale accusato, l’ex patron Emilio Riva, il 53esimo imputato, è morto all’etá di 88 anni lo scorso 30 aprile. Nella tempesta l’intera famiglia. Furono arrestati anche il figlio di Emilio Riva, Nicola, giá presidente del cda dell’Ilva, e l’altro figlio del patron, Fabio, ancora a Londra, in libertà vigilata, in attesa di estradizione.
Il mostro di Ciprì
Le responsabilità dei Riva e le compiacenti omissioni di chi avrebbe dovuto controllare si intrecciano nel film con il taglio umano e sociale impresso dalla scrittura di De Cataldo, pugliese, profondo conoscitore dell’area. Ed è l’impegno civile della storia ad avere avuto un primo riscontro nella scelta della “Apulia Film commission” di supportare l’opera sin dallo sviluppo, come sottolinea la produttrice, la sorella del regista, Simonetta Amenta, fiera perché «il film permetterà una lettura nuova, profondamente umana, senza preconcetti e stereotipi, della vicenda Ilva». Il tutto con la fotografia di un maestro della ripresa come Daniele Ciprì, pronto a inquadrare il mostro d’acciaio «quasi come un personaggio a sé, con le immense ciminiere che sputano nubi rossastre, le colate incandescenti in una dimensione dantesca e surreale». La stessa che farà da sfondo al processo nel confronto fra accusa e difesa.
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