Tutte le bugie sulla chiusura della Raffineria di Gela

 ANDREA TURCO  17 07 2014 Per una Raffineria che chiude si apre la stagione delle menzogne. Quelle dell’Eni e dal mai attuato piano di investimenti da 700 milioni di euro. Crocetta minaccia di revocare le autorizzazioni dopo averle concesse il mese scorso. Deputati sostengono i lavoratori senza aver lasciato traccia all’Ars. Persino industriali che se la prendono con la burocrazia Mentire in fondo è facile, è ricordare che è difficile. Quando l’Eni l’estate scorsa annunciò il piano di investimenti da 700 milioni di euro per rinnovare la Raffineria di Gela ci fu un tripudio generale. Un anno dopo l’idea […]
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Per una Raffineria che chiude si apre la stagione delle menzogne. Quelle dell’Eni e dal mai attuato piano di investimenti da 700 milioni di euro. Crocetta minaccia di revocare le autorizzazioni dopo averle concesse il mese scorso. Deputati sostengono i lavoratori senza aver lasciato traccia all’Ars. Persino industriali che se la prendono con la burocrazia

Vignetta di Guglielmo Manenti

Mentire in fondo è facile, è ricordare che è difficile. Quando l’Eni l’estate scorsa annunciò il piano di investimenti da 700 milioni di euro per rinnovare la Raffineria di Gela ci fu un tripudio generale. Un anno dopo l’idea della multinazionale è di dismettere gli impianti. E la condanna è unanime. Sarebbe facile assegnare il ruolo del cattivo esclusivamente all’azienda senz’anima che, come hanno sottolineato molti giornalisti, dimentica che lo Stato è azionista con una quota del 30%. Quindi dovrebbe essere garantita “attenzione alla collettività” nelle strategie e nelle decisioni imprenditoriali. Ma non si può più peccare d’ingenuità specie quando 3000 famiglie sono sull’orlo del “baratro sociale”, per dirla con le parole del sindaco di Gela Angelo Fasulo.

Da anni innumerevoli vicende con la complicità delle istituzioni italiane, dal Tav in Val di Susa al Mose veneziano all’Expo milanese, hanno insegnato che lo scopo principale di un capitalismo arrembante perché arrancante è uno slogan sentito spesso nelle piazze in lotta: privatizzare i profitti e socializzare le perdite.

Se allora il cambio di strategia del colosso a sei zampe non può stupire, nessuno può permettersi ulteriori bugie. È vero, l’Eni a luglio 2013 aveva annunciato il famoso risanamento per impianti obsoleti e tecnologicamente arretrati. Però già a febbraio 2014 l’allora ad Paolo Scaroni, nel presentare il piano industriale 2014-2017, aveva annunciato “l’eccesso di capacità di raffinazione nel bacino del Mediterraneo” e la consequenziale riduzione del settore. Perché nessuno parve accorgersene, specie tra i politici locali?

I due deputati gelesi all’Ars, Giuseppe detto Pino Federico (MpA) e Giuseppe Arancio (PD), nei giorni scorsi hanno incontrato i lavoratori in protesta promettendo tutto il sostegno possibile. Se però si scorge il resoconto delle attività parlamentari di quest’anno si scopre che entrambi non hanno mai presentato interrogazioni o mozioni sulla Raffineria di Gela. Né come primi firmatari né insieme ad altri colleghi. Una strana dimenticanza.

Intanto il consiglio comunale riunitosi in seduta straordinaria l’11 luglio ha diramato un comunicato definito dai più “duro”. Chiede sostanzialmente il rispetto degli accordi firmati il 09 luglio 2013. Dimenticando di accennare alle “bonifiche del territorio”. Sono altre a quanto pare le esigenze, come dimostrato in questo articolo dello scorso settembre.

Tiene banco l’atteggiamento guerrigliero di Crocetta. Un copione già visto, dicono i No Muos. Al momento il presidente della Regione Siciliana, dopo aver dichiarato che “difenderò la Raffineria di Gela ed i lavoratori fino alla fine, a costo di apparire come l’ultimo samurai” e “fosse stato per me non l’avrei mai fatta costruire”, minaccia di revocare i permessi di esplorazione. Poco più di un mese fa, il 4 giugno, lo stesso Crocetta ha però firmato un protocollo d’intesa con Assomineraria ed Enimed, subito contestato dagli ambientalisti, sullo sfruttamento delle risorse minerarie nell’isola.

In cambio, come conferma il sito livesicilia, i petrolieri si impegnavano “ad assumere iniziative per il rilancio delle attività produttive, per il miglioramento del monitoraggio ambientale e della sicurezza e iniziative per il mantenimento e il rilancio dell’impegno occupazionale”. Inoltre giorno 6 luglio, mentre la protesta era già in corso, il ministero dell’Ambiente ha dato parere positivo al progetto denominato “offshore ibleo”. In realtà si tratta di un vasto programma di perforazione che l’Eni intende perseguire persino lungo il tratto di costa che va da Gela a Licata. A nulla è valsa l’opposizione di Greenpeace.

La sagra delle ipocrisie e delle falsità termina, almeno per ora, con il principale sponsor del governo Crocetta. Nonché capo degli industriali siciliani e proveniente proprio dal territorio nisseno. In un’intervista al giornale La Sicilia rilasciata il 13 luglio, Antonello Montante dice che non bisogna bagnarsi prima che piova e che i piani industriali si devono saper leggere. L’arrogante avviso vale anche per Claudio Vincenti, viceministro per lo Sviluppo, che all’Ansa ha riferito di avere invitato l’azienda a presentare in breve tempo “un vero piano industriale”?

Di chi è insomma la colpa dell’abbandono della Raffineria di Gela? Secondo Montante, il responsabile è l’immobilismo siciliano. Perciò chiede “tempi certi per la burocrazia”. Sì, avete letto bene.

 

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