Con Aspro passa

I giovani non la conoscono la vecchia pubblicità: “Con Aspro passa”, s’intendeva il mal di testa. Oggi è diventata:  “Con il Pd passa”, s’intende la politica dei padroni. In passato i vari tentativi di cancellare l’articolo 18 erano falliti, col Pd al governo ci sono riusciti. Allego un estratto del “Fatto Quotidiano” che ricostruisce i vari attacchi falliti all’articolo 18. Saluti da un affezionato lettore. Le strategie del sindacato contro il palese attacco del governo Renzi ai lavoratori appaiono inutili e inadeguate rispetto ai reali termini del conflitto sociale che si sta velocemente delineando in tutta l’eurozona. Per comprenderne […]
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I giovani non la conoscono la vecchia pubblicità: “Con Aspro passa”, s’intendeva il mal di testa. Oggi è diventata:  “Con il Pd passa”, s’intende la politica dei padroni. In passato i vari tentativi di cancellare l’articolo 18 erano falliti, col Pd al governo ci sono riusciti. Allego un estratto del “Fatto Quotidiano” che ricostruisce i vari attacchi falliti all’articolo 18.

Saluti da un affezionato lettore.

Le strategie del sindacato contro il palese attacco del governo Renzi ai lavoratori appaiono inutili e inadeguate rispetto ai reali termini del conflitto sociale che si sta velocemente delineando in tutta l’eurozona.

Per comprenderne i motivi bisogna partire dal “cuore” della riforma del lavoro attualmente in discussione: la modifica dell’articolo 18 incentrata sulla perdita del diritto al reintegro in specifici casi di licenziamento illegittimo.

Siccome la verità è difficile da far digerire, hanno trasformato una clamorosa sconfitta dei lavoratori in un “contratto di lavoro a tutele crescenti”. Una banale operazione di marketing politico spacciata per bontà giuridica. Per un’analisi dettagliata dovremo attendere i testi definitivi.

L’idea parte da molto lontano, il dibattito sull’articolo 18 ha iniziato a prendere piede con il Libro Bianco del 2001, il quale non contiene un riferimento esplicito alla suddetta norma ma prevede degli interventi sul piano processuale – gli arbitrati in alternativa ai giudici del lavoro – che di fatto indeboliscono l’efficacia della tutela (possibilità di conferire al collegio arbitrale di optare per la reintegrazione o per il licenziamento). Il progetto di riforma relativo al processo del lavoro e in via marginale all’articolo 18 venne poi accantonato, complici le proteste provenienti dal mondo sindacale; la Cgil di Cofferati riuscì a radunare al Circo Massimo oltre due milioni di persone.

Della modifica dell’articolo 18 se ne ricominciò a discutere nel 2006 con i disegni di legge Treu-Salvi (n. 1047) e Sacconi (1163). Accantonati anche questi.

Nel 2009 ci riprova Pietro Ichino che propone, assieme ad altri parlamentari, due disegni di legge (1873 e 1481), incentrati sulla previsione di un Codice del Lavoro in sostituzione dello Statuto del Lavoratori, e del “contratto di lavoro unico a stabilità crescente”, sostanzialmente quello di cui si discute in merito al Jobs Act, un modo per indebolire l’articolo 18. Ma anche questo ulteriore tentativo di Ichino viene messo da parte, niente da fare.

Colpo di scena! La storica modifica viene attuata nel 2012 dal governo ‘tecnico’ di Monti (cosiddetta riforma Fornero), al primo tentativo laddove la destra italiana aveva sempre fallito.

 

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