Redazione,
Malcom X era nero e mussulmano.
Forse è attuale ancora oggi
Un lettore
Ancora attuale? L’eredità di Malcolm X 50 anni dopo
di Viviana Mazza
Ricerca iconografica di Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi
Qualcuno – come Ron Daniels, professore universitario ed ex direttore della campagna elettorale di Jesse Jackson – dice di temere che le commemorazioni restino limitate ai “veri seguaci” piuttosto che esprimere il tributo pubblico che “Malcolm merita di avere”. Ma Bailey, al contrario, ha l’impressione che si respiri quest’anno un entusiasmo particolare, che va al di là della solita cerchia: “La Cnn trasmetterà un documentario di un’ora, il New York Daily News gli dedicherà un inserto di 7 pagine, il New York Timesmi ha intervistato per più di un’ora”. Obama? “Non mi aspetto che dica qualcosa – confessa Carl Snowden, organizzatore del Caucus dei leader afroamericani – Ma è chiaro che Malcolm X ha avuto una grossa influenza sul presidente. Lo ha raccontato lui stesso nel suo libro ‘I sogni di mio padre’. Un paio di volte lo ha implicitamente citato usando le parole ‘bamboozled’ e ‘hoodwinked’ per dire alla gente di non farsi imbrogliare… Ma i suoi consulenti devono avergli suggerito di non farlo più perché viene usato contro di lui”.
Malcolm X è stato “cantato” da scrittori e poeti, da rapper come Public Enemy e Gang Starr, per non parlare del film di Spike Lee. Nel 1992 l’84% degli afroamericani tra i 15 e i 24 anni lo descrivevano come un eroe. Nel 1999, le poste degli Stati Uniti gli dedicarono un francobollo (ma l’Iran lo fece prima). L’Autobiografia di Malcolm X (scritta con il giornalista Alex Haley e pubblicata nove mesi dopo l’assassinio) è un bestseller letto in molte università: per Time uno dei libri più importanti del XX secolo. “Non c’è alcun rischio che venga dimenticato”, riflette Snowden. “Piuttosto, la domanda continua ad essere: chi era Malcolm? Ci sono state tante fasi nella sua vita. I musulmani sunniti guardano alla sua religiosità, gli attivisti dei diritti umani al suo spirito rivoluzionario, i nazionalisti neri lo vedono attraverso il loro prisma…”. Allo stesso tempo, Malcolm X resta una figura controversa. Sul New York Times, M.S. Handler scrisse che “nessun uomo del nostro tempo ha suscitato la paura e l’odio dell’uomo bianco quanto lui”. La sua rabbia, la sua denuncia della supremazia bianca, il suo appello a cercare la libertà “ad ogni costo”, il famoso discorso sulla “scheda elettorale o il fucile” sono difficili da “digerire” per “l’elite politica, per la maggior parte dell’America bianca e per gli elementi più conciliatori nell’America nera”, scriveva pochi giorni fa il professor Daniels sulla Jackson Free Press.
Malcolm Little era nato a Omaha, in Nebraska, e cresciuto a Lansing in Michigan in una famiglia povera ma politicamente attiva (seguaci del nazionalista nero Marcus Garvey), e l’attivismo potrebbe aver causato la morte di suo padre, che finì sotto un tram in circostanze poco chiare quando Malcolm aveva sei anni. Si trasferì a Boston dalla zia, e lasciò la scuola risucchiato dal ghetto nero di truffatori, droghe, prostituzione. Finì in carcere per un furto appena ventenne. Fu allora che si convertì alla Nation of Islam (Nazione dell’Islam) e, una volta rilasciato, diventò uno dei portavoce più importanti della setta di Elijah Muhammad. Un Islam sui generis, secondo cui i bianchi erano demoni, geneticamente plasmati da un malvagio scienziato chiamato Yacub, mentre i neri americani appartenevano all’antica tribù asiatica degli Shabazz ridotta in schiavitù. La Nazione dell’Islam chiedeva ai convertiti di ripudiare il cognome “da schiavi” sostituendolo con una “X”; predicava non l’integrazione ma la separazione tra bianchi e neri; vietava di partecipare al processo politico.
Dopo aver reclutato migliaia di membri ed essere arrivato quasi all’apice dell’organizzazione, Malcolm X se ne allontanò nel 1964, compiendo il pellegrinaggio alla Mecca e abbracciando l’Islam sunnita, ma guidato anche dal desiderio di fare attività politica e di lavorare con le organizzazioni dei diritti civili. Malcolm X diventò El-Hajj Malik El-Shabazz. “Cominciò a parlare per se stesso”, nota Bailey, anche se in fondo aveva sempre inframmezzato le sue idee a quelle della Nation of Islam (come nel 1957 guidando una protesta di massa per ottenere il rilascio di un membro dell’organizzazione picchiato dalla polizia). “La prima volta che lo sentii fu per strada a Harlem, nel giugno 1962 – ricorda Bailey -. Due cose mi colpirono: primo, che noi neri dovevamo lottare non contro alcuni individui razzisti ma contro un sistema; e secondo, che l’oppressione bianca non è solo fisica ma anche psicologica. Ripensai a quando da ragazzino andavo a vedere Tarzan in un cinema segregato dell’Alabama e tifavo per quel bianco col suo scimpanzé che picchiava i guerrieri africani. Quello era un attacco alle nostre menti, e il fratello Malcolm fu il primo a spiegarlo con chiarezza”. Con l’Organizzazione di Unità Afrocamericana, Malcolm decise di “internazionalizzare” il movimento e di cercare l’alleanza dei Paesi africani per denunciare alle Nazioni Unite il trattamento dei neri negli Stati Uniti. “Ci definimmo un’organizzazione non per i diritti civili ma per i diritti umani”. Non smise di fare dichiarazioni incendiarie: “L’estremismo nella difesa della libertà non è un vizio, la moderazione nella ricerca della giustizia non è una virtù”, disse a Oxford nel 1964. “Credeva nell’autodifesa – lo difende Bailey – Viene percepito come un violento, ma vi sfido a trovare un passaggio in cui abbia detto che bisogna uccidere i bianchi. Se un nero si difendeva, veniva automaticamente considerato un violento. E le cose non sono cambiate del tutto: infatti la polizia non spara agli adolescenti bianchi disarmati, ma ai neri sì”.
Malcolm X è una figura spesso contrapposta a Martin Luther King, che predicava l’integrazione e la nonviolenza. Nel film “Selma” di Ava Duvernay, vediamo il presidente Lyndon Johnson e il capo dell’Fbi J. Edgar Hoover definire King come un male minore rispetto a Malcolm X (entrambi comunque venivano sorvegliati). Ma c’è anche una scena in cui Malcolm incontra la moglie di King e le spiega che lui intende sostenere una posizione più estremista in modo da spingere i bianchi ad allearsi con il reverendo. Più d’un sostenitore di Malcolm afferma che la distanza con King non era affatto incolmabile. Erano “complementari”, dice Snowden, “come Steve Biko e Nelson Mandela”. “Forse non sarebbero diventati migliori amici ma avrebbero senz’altro collaborato”, continua Bailey. “Malcolm disse a King che, se Kennedy e Kruscev erano riusciti a comunicare, potevano farcela anche loro. E per Hoover questo sarebbe stato davvero l’incubo peggiore”. Entrambi furono assassinati all’età di 39 anni.
Per l’omicidio di Malcolm X, tre membri della Nation of Islam furono arrestati, ma non si è mai chiarito chi abbia dato l’ordine di eliminarlo. Ora una petizione su Change.org chiede a Obama di rendere pubblici tutti i file federali sull’assassinio in occasione del 50° anniversario. “Ma io non credo che li pubblicheranno mai per intero”, ci dice Bailey. A scuola, nel Queens, il deputato Gregory Meek ha raccontato ai bambini: “Se non ci fosse stato Malcolm X, non avrei mai fatto politica. Ha insegnato a noi neri ad essere orgogliosi di quel che siamo. Quel 21 febbraio è stata la prima volta che ho visto mio padre piangere”.
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