Se non è un piano di intervento militare gli assomiglia molto. Le manovre navali nel Mediterraneo svelate ieri vengono confermate dai vertici dell’esercito. Le navi sono tre, potrebbero arrivare a quattro. Formalmente parlano di operazioni di addestramento il generale Claudio Graziano, subentrato ieri come capo di Stato Maggiore della Difesa all’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, e Pierpaolo Ribuffo, comandante del Gruppo navale impegnato in «Mare Aperto», l’esercitazione che prende il via dopo lo stop di Mare Nostrum. La coincidenza con la crisi libica è però troppo evidente per rimanere sullo sfondo. Niente illusioni ammette il ministro della Difesa Roberta Pinotti, «il periodo che abbiamo di fronte non sarà dei più facili».
Posizionamento strategico
Motivo per cui sia Graziano che Ribuffo ammettono come le attività addestrative svolgano «certamente anche un ruolo di sicurezza, deterrenza» e di «dissuasione». Attività che non escludono il dovere «di intervenire – precisa Binelli Mantelli – di fronte a violazioni del diritto internazionale». La linea lungo la quale si muoveranno le navi è un posizionamento strategico a ridosso dalle acque internazionali. Nessuno ormai nasconde il rischio che il caos in Libia possa inghiottire gli interessi italiani. A partire dalla piattaforma offshore di Sabratha, a 80 chilometri dalle spiagge libiche. È la struttura da difendere a ogni costo, con priorità altissima: se venisse colpita staccherebbe il rifornimento al terminal di Mellitah, che triangola con il gasdotto dell’Eni Greenstream, collegato alla Sicilia. Il personale posto a guardia potrebbe non bastare in caso di attacco, come è avvenuto a metà febbraio ai giacimenti di Mesla e di el-Sarir, vicino a Tobruk. Fortunatamente le attività Eni sono in prevalenza concentrate nelle regioni occidentali, meno esposte per ora alla furia jihadista.
Precauzioni difensive
La situazione incontrollata suggerisce però precauzioni difensive definibili, appunto, «dissuasive». D’altronde, che l’opzione militare non sia un tabù lo attestano le parole di Pinotti, per la quale nella risposta alle crisi internazionali «la componente militare deve sapersi combinare» con le vie diplomatiche, economiche e di intelligence. E anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, pur sottolineando la contrarietà a interventi esterni, avverte l’«urgenza di raggiungere risultati», per mettere al riparo l’Italia dalle mire terroristiche.L’elenco dei target di difesa aerea e antisommergibile è ampio, ammettono dalla Difesa, il che spiega il coinvolgimento degli incursori del Comsubin partiti da La Spezia – vera e propria unità di anti-terrorismo – di marò del San Marco e di elicotteri imbarcati ieri. Un dispiegamento massiccio da impiegare in caso di necessità. È in questo scenario che si collocano le ricostruzioni delle ultime ore sulla nave San Giorgio che nel cuore della notte carica forze speciali e mezzi a La Spezia, per poi dirigersi alla base di Augusta da dove assieme al cacciatorpediniere Duilio e alla fregata Bergamini salpati da Taranto punterà a lambire le acque libiche.
(ha collaborato Tiziano Ivani)
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