Redazione,
La riforma delle banche popolari annunciata da Renzi ha trovato ben pochi critici, sia a destra che a sinistra. Qualche brusio soltanto. E più per il coinvolgimento della ministra Boschi, azionista della Banca Etruria, una delle 10 banche interessate, che per la sostanza dell’operazione. Nonostante si prefiguri come un salvataggio di banche in difficoltà e ulteriore concentrazione di capitale bancario.
Così Renzi: Annunciazione, annunciazione, «È una giornata storica, perché dopo venti anni interveniamo sulle popolari: non su tutte ma sulle banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi: sono 10 in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitario e diventare spa.» .
La questione del voto capitario è presto spiegato. Per il diritto societario nelle spa ha più voti chi ha più azioni, mentre nel credito popolare/cooperativo ogni socio vale uno, al di là del capitale posseduto. Il tetto fissato a 8 miliardi di euro fa invece capire quale concentrazione di capitale queste banche già oggi rappresentano e a quali ambizioni operative, a quali profitti mirino.
Concretamente, le banche interessate dalla trasformazione in spa sono, in ordine di dimensione dell’attivo: Banco Popolare, Ubi Banca, Popolare Emilia Romagna, Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio; ci sono inoltre tra le non quotate il Credito valtellinese, la Popolare di Bari e la Popolare dell’Etruria e del Lazio.
A detta dei commentatori economici, il nuovo assetto societario attirerà l’interesse dei grandi fondi internazionali, pensionistici e assicurativi che una volta certi di poter contare per le azioni in loro possesso comprerebbero le azioni delle nuove spa. Così come favorirà le fusioni, viste come l’unica possibilità per molte delle popolari di affrontare le perdite. Si vocifera di una trattativa tra banchieri e governo per la creazione di una Bad Bank in cui far confluire tutti i crediti non più esigibili accumulatisi in questi anni di crisi. Potrebbe essere una delle prossime annunciazioni del primo ministro.
Ad ogni modo il governo Renzi ha dato un bel contributo alle banche nel processo di concentrazione del capitale che storicamente le accompagna. E che era visto come l’artefice di tutti i mali.
Quando, nel 2008, non c’era giorno che una grande banca del sistema del credito internazionale finisse sui giornali per il rischio bancarotta, venne in auge l’espressione “too big to fail”, troppo grande per fallire. Non c’era politico o economista che non denunciasse la dimensione raggiunta dalle banche internazionali. Troppo grandi per fallire senza trascinarsi nella bancarotta l’intero sistema creditizio ed economico del paese. Troppo grandi per non “snaturare” la gestione del patrimonio loro affidato da piccoli risparmiatori o dai fondi pensionistici.
Che fossero nella sostanza tutte balle non avevamo dubbi già allora: sia sulle ragioni della crisi, sia sull’idilliaca “mission” delle banche in genere, piccole o grandi che siano. Ma che ora si punti a far diventare le popolari dei colossi bancari e che il decreto del governo Renzi, che ciò favorisce, ci venga presentato come un innovativo contributo alla risoluzione della crisi, ci sembra davvero troppo.
R.P.
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