Cara redazione,
assieme a De Gennaro, in galera dovrebbero andare anche i suoi sponsor
Ma sono sicuro che nessuno vedrà le celle dell’Italia dei padroni torturatori
In ogni caso è bene ricordare chi sono gli sponsor
Vi invio un articolo del Corriere
Un giovane genovese
Commentò a botta calda il Guardasigilli Piero Fassino: «Un’ottima nomina». Mentre dal presidente della Camera Luciano Violante partiva un messaggio di felicitazioni all’indirizzo del nuovo capo della polizia Gianni De Gennaro. Da poche settimane Giuliano Amato aveva preso il posto di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi e il nuovo premier assicurava chi, a destra, si mostrava riluttante: «Sono state fatte consultazioni confidenziali con le opposizioni…».
Toccò all’ex ministro dell’Interno democristiano Vincenzo Scotti spiegare perché De Gennaro, nominato dalla sinistra con il tacito benestare della destra, fosse l’uomo giusto. «È una mia creatura», dichiarò all’Ansa. Il capo della polizia esibiva un curriculum scintillante. Commissario di polizia, aveva dato più volte prova di coraggio fisico in azioni pericolose. Impegnato nella lotta alla mafia, fu stretto collaboratore di Giovanni Falcone risultando determinante nel pentimento di Tommaso Buscetta. E dopo aver collezionato promozioni per meriti straordinari approdò al vertice della Direzione antimafia. La nomina a capo della polizia (di cui era stato vice per sei anni) appariva dunque il naturale coronamento di una carriera esemplare. Finché al G8 di Genova non successe il finimondo, con episodi inqualificabili per un Paese civile ora bollati dalla Corte dei diritti umani di Strasburgo con l’infamante marchio della Tortura.
De Gennaro era il capo e venne convocato in Parlamento. Davanti ai deputati disse: «È verosimile che le condizioni create da criminali violenti e facinorosi abbiano determinato in alcuni casi un eccesso nell’uso della forza a opera dei privati, in altri casi episodici e individuali comportamenti illeciti che saranno rigorosamente perseguiti». I magistrati avrebbero poi accertato che nei «comportamenti illeciti» alla Diaz e a Bolzaneto non c’era proprio nulla di «episodico e individuale». Lo stesso De Gennaro venne processato con l’accusa di istigazione alla falsa testimonianza e assolto dalla Cassazione. In quel momento era a capo dei servizi segreti: l’aveva nominato il governo di Silvio Berlusconi nel 2008, a due settimane appena dall’insediamento. L’assoluzione gli spianò la strada all’incarico di sottosegretario con Mario Monti. Prima del salto alla presidenza della Finmeccanica. E qui vale la pena di raccontare com’è andata.
Primavera del 2013, a Palazzo Chigi è da poco entrato Enrico Letta. La stagione delle nomine si avvicina e uno che in quella materia l’ha sempre saputa lunga, come Luigi Bisignani, sentenzia: «In Finmeccanica credo che alla fine andrà il prefetto De Gennaro». La spara grossa, pensano in molti. Anche perché capita un fatto nuovo. Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni vuole rompere con le deprecabili abitudini lottizzatorie, fissando criteri rigorosi per le scelte dei manager. Salta così fuori una direttiva piena di prescrizioni etiche, come l’assenza di un semplice rinvio a giudizio, e soprattutto professionali: competenze accertate, zero conflitti d’interessi, indipendenza dalla politica.
E che cosa succede? Dieci giorni dopo il Tesoro indica per la presidenza della Finmeccanica il prefetto Gianni De Gennaro, esattamente com’era stato pronosticato da Bisignani. Quali siano le competenze professionali dell’ex capo della polizia per l’incarico, non è specificato. Di sicuro non viene fatta valere la legge che vieta per un anno ai membri del governo di assumere incarichi in settori connessi alla funzione esercitata. Fino a due mesi prima lui è a Palazzo Chigi con delega alla sicurezza. Ma l’Antitrust chiarisce che Finmeccanica, per cui la fetta maggiore del fatturato è di provenienza militare, non opera «prevalentemente» nella sfera di quella funzione governativa. Le congetture si sprecano. Gira la voce di pressioni Usa. Ma anche quella, mai smentita, di una sponsorizzazione del Quirinale dove Giorgio Napolitano ha iniziato il secondo mandato.
Nessuno, comunque, viene turbato dalle parole della Cassazione, che a ottobre del 2012, confermando le condanne per i terribili fatti della Diaz, scrive che quell’episodio ha «gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero». Ma non fa una piega neppure il successivo governo di Matteo Renzi, che ad aprile 2014 lo conferma. Passa un mese e De Gennaro viene nominato presidente della genovese Fondazione Ansaldo. Il sindaco Marco Doria reagisce gelido, mentre lo storico Luca Borzani si dimette dal cda per protesta. Nichi Vendola ironizza amaro: «È intoccabile». Ma forse non ha tutti i torti.
Per dovere di cronaca va ricordato che a febbraio scorso De Gennaro lascia quel posto ad Amedeo Caporaletti, anni 84, che ha appena perso la poltrona di consigliere delegato dell’Ansaldo-Breda .
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