Redazione di operai Contro,
Il fulcro di tutta la “ riforma” della scuola di Renzi è l’articolo 16 del DDL “La buona scuola”.
Esso “prevede l’istituzione del cosiddetto School bonus, ovvero l’introduzione di benefìci fiscali per le erogazioni liberali in denaro da parte di soggetti privati in favore delle istituzioni scolastiche”.
In realtà dietro il discorso degli sgravi fiscali si apre in modo sostanziale la strada per il finanziamento privato alle scuole. Uno scenario plausibile è quello che segue:
In un quartiere bene di una città qualsiasi, in un liceo frequentato da rampolli di famiglie benestanti, il preside dell’istituto chiede ai genitori di partecipare con “erogazioni liberali” alla progettazione, attuazione e funzionamento di un nuovo laboratorio. I genitori benestanti, di solito restii a destinare i propri soldi alla “cosa pubblica”, trattandosi in questo caso di una scuola frequentata dai propri figli e in presenza di “benefici fiscali”, opteranno per un finanziamento all’istituto.
Nel contempo, un istituto dello stesso indirizzo, ma ubicato in quartiere “popolare”, abitato mediamente da famiglie a reddito basso, si troverà in una situazione sostanzialmente diversa. Qui le “erogazioni liberali” saranno molto più basse o addirittura inesistenti e l’istituto potrà contare al massimo sul cinque per mille dell’imposta sul reddito (IRPEF).
Accentuando di gran lunga le differenze già esistenti, nel giro di un breve periodo si creerà una differenziazione sostanziale tra i due istituti,.
Il primo, con ambienti, laboratori e attrezzature migliori. Il secondo con quello che passerà il convento delle sempre più misere casse statali per la scuola.
In una situazione del genere comincia ad aver una logica anche la “chiamata diretta del preside”.
“Il dirigente sceglie i docenti che risultano più adatti a soddisfare le esigenze delle scuole e propone, sulla base dei piani triennali dell’offerta formativa di cui all’articolo 2, incarichi ai docenti iscritti negli albi territoriali e al personale di ruolo già in servizio presso altre istituzioni scolastiche”. (art. 7 comma 2)
Se rimanesse invariata la situazione attuale, la norma della chiamata diretta del preside non avrebbe senso. Perché un insegnante dovrebbe cambiare sede “chiamato” da un preside di un altro istituto?
La cosa assume una luce diversa se l’inquadriamo nella progressiva differenziazione economica degli istituti in funzione delle “erogazioni liberali” delle famiglie.
Negli istituti finanziariamente più forti ci saranno maggiori attività da svolgere oltre quelle di base. Si faranno più progetti, ci saranno più laboratori da far funzionare, si opererà in una struttura più complessa dove le funzioni anche organizzative aumenteranno e così le varie “collaborazioni”. Per quelli che ci lavoreranno aumenteranno le possibilità di guadagnare soldi oltre lo stipendio.
E’ una giostra (per pochi “eletti”) che abbiamo già conosciuto nel breve periodo d’oro dei progetti e in particolare dei PON.
Flusso maggiore di soldi, più guadagno per quelli che lavorano nell’istituto. Sicuramente più guadagno per quelli cooptati dal preside.
Alla luce di quanto detto la seguente frase di Renzi denuda la sua assoluta ipocrisia e falsità:
“La scuola è un posto dove le disuguaglianze sono cancellate in partenza, poi per carità di Dio, chi è più bravo andrà più veloce, chi è meno bravo sarà aiutato, ma il punto di partenza dev’essere uguale per tutti”.
Renzi e Giannini non inventano niente però. La scuola che stanno tentando di “costruire” è la scuola del paese giuda per quelli come loro: l’America.
I figli dei ricchi vanno nelle scuole migliori e si preparano per le carriere di comando, e i poveri sono relegati in scuole che somigliano a riformatori.
Un insegnante, lettore del giornale
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