Redazione,
Renzi continua a parlare di aumento degli occupati
Ogni giorno Operai Contro pubblica L’elenco di fabbriche che chiudono
Vi invio un articolo
Un operaio di Faenza
Non ci si è ancora finito di asciugare le lacrime per il licenziamento delle 32 operaie del calzaturificio Omsa (quelle che facevano le calze Golden Lady) che l’altra grande azienda di Faenza, la CISA, marchio storico di chiavi e serrature, ha annunciato di volere trasferire gran parte della produzione, quella definita “a basso valore aggiunto”, da un altra parte. E se si pensa che a rischio ci sono il lavoro e il salario di quasi 250 persone, a tanti qui tremano le gambe. “Quello che facciamo noi potrebbe andare in Bulgaria”, spiega Federica Tomba, in fabbrica dal 2000 e addetta alla produzione di serrature. “Del resto i lucchetti già si fanno in Cina. Quando ho iniziato a lavorare qui eravamo quasi 900, oggi 500”, ragiona un altro giovane operaio e delegato Fiom, Omar Fabbri. Entrambi hanno partecipato a una ennesima assemblea nella quale sindacalisti e delegati di fabbrica hanno spiegato i frutti dell’incontro del 31 luglio al ministero dello sviluppo economico a Roma: un incontro romano che però non ha cambiato di molto le prospettive. La proprietà, una volta italiana (la fabbrica è nata nel 1926) è ora in mano alla multinazionale Allegion, sede legale a Dublino, una società spin off della americana Ingersoll Rand che dal 2005 controlla la CISA. Ma da allora, secondo gli operai, sarebbero mancati gli investimenti: “È dieci anni che non investono”, spiega Massimo Martiellini, un operaio anche lui del settore presse. “In Italia – gli fa eco Bruno Bianchedi, da 37 anni fabbrica – la CISA aveva già perso mercato e secondo me perché non si guarda alla qualità, ma solo al profitto”. Alcune settimane fa la comunicazione del trasferimento delle produzioni ha colto alla sprovvista un intero territorio, già martoriato dalla crisi economica.
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