dalla Gazzetta del mezzogiorno
di Gianlugi De Vito
BARI – «Lotta dura, senza paura». Torna ad affacciarsi la rabbia della classe operaia che con il pugno alzato prova a resistere alla condanna dell’inferno. E lo fa davanti ai cancelli di Bridgestone. «Inevitabile», spiega Michele Rizzi di Alternativa comunista, leader di casa rimasto senza imbarazzi marxisti. E il paradigma di Rizzi è presto detto: «Bisogna dire “no” ai ricatti della multinazionale che in un periodo di forte crisi sociale offre ai lavoratori più di 180 licenziamenti, in virtù dell’accordo sciagurato del 2013, e la decurtazione di salario e diritti attraverso la “rivisitazione” della contrattazione di secondo livello annunciata dalla squallida lettera dell’amministratore delegato».
Sicché, mentre oggi al ministero per lo Sviluppo economico il coordinamento dei sindacati, dalla Cgil, Cisl e Uil all’Ugl e Confsal, finora rimasto unito (oggi sapremo se lo è ancora) tratta con i vertici della multinazionale giapponese di pneumatici per un’intesa che riduca l’impatto dellaccordo firmato nel 2013, «Alternativa comunista» e il «Comitato no all’accordo lavoratori Bridgestone in lotta», appena costituito, spiegano ai giornalisti il perché opporsi alla strategia dell’accordo romano. Il dato certo è che si è consumata una spaccatura e si annunciano un autunno rovente e un destino inquieto.
«Falchi» e «colombe» si sono schierati gli uni contro le altre all’indomani della pretesa della Bridgestone, formalizzata attraverso una lettera a ogni lavoratore, di ottenere la rinuncia volontaria alle maggiorazioni individuali ottenute ne tempo. Roba, per i «falchi», intoccabile. Pure le «colombe» sostengono che la rinuncia alle maggiorazioni economiche indivuali non sia materia di contrattazione. Tanto che hanno lasciato questa partita nelle mani dell’azienda. E hanno indetto a fine luglio un referendum in fabbrica, come altra prova di forza per provare a far desistere l’azienda: «sì» o «no» al taglio delle maggiorazioni individuali? Ha vinto, ovvio, il fronte del «no», ma non stravinto (60%). E l’amministratore delegato di Bridgestone Italia manufactoring, Roberto Mauro, ha scritto a ogni dipendente pur di raggiungere lo scopo del taglio delle maggiorazioni individuali.
Dopo la pausa estiva, i 733 operai rimasti (erano 770, altri 37 hanno accettato l’esodo incntivato) sono tornati al lavoro in un clima di forte tensione. Il coordinamento dei sindacati aveva proclamato otto ore di sciopero in due giorni, il 20 e il 21 agosto, per rafforzare il referendum e contrastare la rigidità aziendale. Ma l’azione di protesta ha cominciato a vacillare: adesione al 44%. Per i sindacati è il segno che il «ricatto dell’azienda» (taglio dei salari o sarà chiusura) ha cominciato ad avere effetto.
È in questo clima che si consuma la spaccatura: la Confail si smarca e proclama un altro sciopero. Ma giovedì 27 agosto, i numeri non aiutano: adesione al 14%, pari a un centinaio di dipendenti. Pochissimi se si considera il totale (733); tanti se si considera che è stata un’iniziativa di un solo sindacato e per giunta organizzata in poche ore.
È dalle ceneri della rottura del cartello sindacale unitario che nasce il «Comitato no all’accordo – Lavoratori Bridgestone in lotta», ora sostenuto anche da Alternativa comunista. «Gli aderenti sono duecento» annuncia Marco Manodoro, uno dei portavoce del Comitato.
Stamani alle undici, Manodoro e Rizzi spiegano il perché opporsi al disco fisso che Bridgestone ripete da mese: e cioè il rispetto dell’accordo firmato a settembre del 2013 con il quale lo storico stabilimento di produzione di pneumatici della zona industriale tra Modugno e Bari viene mantenuto attivo a patto di centrare una riduzione del costo del lavoro pari a 4milioni e 187mila euro. Che significa tagli drastici ai salari: alcuni sono tagli a tempo (2016-2018), altri perenni. Di questo plafond di tagli, 683mila euro riguardano appunto le maggiorazioni individuali, frutto di accordi personali, negli anni, tra azienda e i singoli lavoratori: coperture a cottimo (per un totale, tra operai e impiegati di 85mila euro), scatti di anzianità (per un totale di 580mila euro) e una miscellanea ad personam (pari 18mila euro).
Rizzi è sicuro di sè: «A maggior ragione adesso ha senso un no a questi ricatti, un no organizzato in fabbrica, che funga da cuneo contro ogni ipotesi di taglio di diritti acquisiti che le multinazionali, d’accordo molto spesso con governi e sindacati compiacenti, sono abituati a cancellare. Ritengo inoltre che questo possa essere un inizio di un’offensiva operaia che possa mettere assieme la vertenza Bridgestone, a quella dell’Om carrelli, di Osram e di tante altre, perchéè le fabbriche sono dei lavoratori e non certo di multinazionali senza scrupoli che vengono in Puglia prevalentemente a prendere soldi pubblici, agevolazioni fiscali e contributive, per poi licenziare e anche delocalizzare. Per questo la situazione deve cambiare e la crisi non può essere pagata dai lavoratori».
Parole che non fanno una grinza. Ma quello che per Rizzi è un ricatto cui opporsi, per la maggior parte dei lavoratori e un male da accettare per non perdere il posto di lavoro. Tanto che in 651 su 733 hanno già ingoiato la pillola e accettato la rinuncia alle maggiorazioni individuali.
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