Cara Redazione, t’invio un articolo del Sole 24 ore, se riterrai opportuno pubblicarlo.
Saluti Ornella Vasca.
La Cina spaventa gli imprenditori riuniti a Cernobbio
È la Cina il vero convitato di pietra al Workshop The European House-Ambrosetti che ha preso il via quest’oggi a Cernobbio, con la sua frenata improvvisa che rischia di mettere a repentaglio una crescita globale di per sé già piuttosto debole. Sarà forse perché le turbolenze che hanno scosso i mercati di Shanghai sono le ultime in ordine di tempo a turbare i sonni di imprenditori e investitori, ma la Cina è infatti per il 36% dei partecipanti al Forum di Villa d’Este l’area da cui può provenire la principale minaccia allo sviluppo delle attività di business, seguita a distanza da Paesi emergenti (25%) e Russia (15%), entrambi per altro fortemente influenzati dal Dragone dai piedi di argilla, e dal terrorismo di matrice islamica (7%).
I riflessi sull’Eurozona. Il rallentamento cinese, come ha ricordato l’economista della London Business School, Linda Yueh, è in grado di trasmettersi attraverso l’export ai principali paesi produttori di materie prime e anche di prodotti finali destinati al Paese, come l’Asia, l’America latina, l’Africa e anche la Germania. Proprio i possibili riflessi sul Paese tedesco e sul resto d’Europa hanno rappresentato un altro tema di discussione accesa all’interno della varie sessioni di lavoro: un’Europa che cresce davvero troppo poco, ha un’inflazione bassa che il “quantitative easing” della Bce non riesce a risollevare e deve affrontare problemi ormai strutturali quali debito e disoccupazione, come ha sottolineato Philippe Legrain, fondatore di The Open Politic Economy network.
Ora anche il Nord Europa è un problema. Il tema nuovo, sotto certi aspetti, è il coinvolgimento del “Nord” del Vecchio Continente in una crisi che negli anni recenti ha sempre colpito duro soprattutto la “periferia” dell’Eurozona. Oggi, ha ricordato lo stesso Legrain, non è soltanto la Germania a soffrire, per la sua esposizione a Paesi in rallentamento (Cina in primis), ma anche aree come la Finlandia, che va peggio del Portogallo, o l’Olanda, che va peggio della Francia. Probabilmente una critica velata alle politiche di austerity a lungo sostenute a spada tratta dai governi di questi Paesi, e che a lungo andare si sono evidentemente ritorte contro i loro stessi interessi.
I governi soffocano il valore creato dai privati. Nel complesso, come hanno ricordato gli economisti intervenuti, il potenziale di crescita europeo è ormai ridotto all’1%: ben distante dall’obiettivo del 3% prevedibile per gli Stati Uniti, ma anche dai livelli a cui si era abituati nella stessa area euro nello scorso decennio. Più in generale, il problema europeo è legato a una carenza di innovazione e di imprenditorialità che, unita a un settore pubblico inefficiente, a un mercato del lavoro rigido e a un calo demografico, determina una scarsa crescita della produttività. “I governi hanno soffocato il valore creato dai privati”, è l’ulteriore accusa che giunge dalle sale di Villa d’Este, mentre la soluzione passa attraverso un controllo del debito, dal rafforzamento del sistema bancario e da una revisione del patto di stabilità e crescita che può dare nuova vita a investimenti che languono a un livello ancora inferiore del 15% a quello pre-crisi del 2008.
Il dibattito sulla stagnazione secolare. Allargando l’orizzonte geografico, un tema largamente affrontato in questa prima giornata è quello della possibile stagnazione secolare globale rilanciato negli ultimi giorni anche dal Centro studi di Confindustria. E se un economista come Michael Burda, professore di economia alla School of Business Economics della Humboldt University di Berlino ricorda con pessimismo i decenni (e la seconda Guerra mondiale) che sono stati necessari agli Stati Uniti per uscire dalla crisi del 29, una nota di ottimismo arriva stavolta inattesa da Nouriel Roubini: “C’è ancora tendenza alla crescita e denaro facile su cui poter contare per promuovere una ripresa economica”, sottolinea l’analista, ricordando come la Cina sia sì un problema, ma che non abbia ancora risvolti sull’economia globale e sia comunque destinata a crescere del 6% nel 2016 e del 5% medio nei successivi 10 anni. “La chiave – spiega Roubini – è le credibilità che le autorità cinesi avranno nell’intervenire con strumenti adeguati per evitare la caduta libera”.
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