Redazione di O.C.
320 mila migranti di 169 nazioni questi i numeri dei migranti impegnati come braccianti nell’agricoltura in Italia, operai della moderna industrializzazione dell’agricoltura a tutti gli effetti.
Rosarno , e la pianura di Piana di Gioia Tauro in Calabria, la capitanata nel foggiano, l’agro pontino nel Lazio, le zone per la raccolta delle mele in Trentino Lombardia e Veneto, la raccolta dei meloni e delle angurie nel mantovano e quelle delle pesche in Emilia Romagna. La vendemmia dell’uva nelle zone vinicole del nord e sud Italia, la raccolta di pomodori in tutto il paese, da sud a nord.
Tutto ciò che viene prodotto nelle coltivazioni agricole arriva sui banchi dei mercati e supermercati italiani e di mezza Europa , tutta la produzione agricola proviene dalle mani di braccianti stranieri che vengono impegnati sino a 12 e più ore al giorno nella raccolta delle merci agricole.
Chini sulle piantine di pomodoro o sui filari d’uva, sotto un sole cocente che scalda l’aria sino a 40 gradi o a temperature polari che gelano le ossa, sotto docce gelate di pioggia e con pochi o niente ripari sotto cui svolgere il massacrante lavoro. Perché la raccolta deve continuare.
Avendo come ricovero baracche fatiscenti di cartone, dormendo nelle stazioni ferroviarie dismesse o nei loculi dei cimiteri. Ovunque esista un qualsiasi riparo quando va bene, e a volte senza neppure avere la possibilità di averne uno, quando va male , dormendo nei fossi o lungo la strada .
Sottoposti a ritmi di lavoro al limite dello sfinimento e della morte, per il veloce deperimento delle merci agricole. Facendo attenzione a non ammaccare o a non rovinare il raccolto, perché altrimenti i consumatori lasceranno la frutta e la verdura sui banchi dei supermercati. Senza nessuna forma di assicurazione sociale se si ammalano, non potendo abbandonare il lavoro pena la perdita della giornata di salario che continua per tutta la durata dei giorni di malattia .
Subendo le prepotenze dei caporali, che ugualmente ai capi reparto che controllano gli operai in fabbrica, nelle campagne ne controllano i ritmi di produzione della raccolta, arrivando al limite della violenza fisica oltre che a quella psicologica.
Li radunano nelle piazze dei paesi, come si radunano le pecore, per poi ammassarli su furgoni, conducendoli al lavoro nei terreni dove si raccolgono le derrate agricole.
Decidono le loro soste fisiologiche durante il lavoro , taglieggiano il loro già magro salario fornendogli bottigliette di acqua, trattengono dal loro salario il costo del trasporto o il panino per il pranzo di mezzogiorno.
Nuovi kapo della macchina produttiva della borghesia agricola.
Come a Cannelli nell’Astigiano, dove si producono cento milioni di bottiglie di spumante all’anno, con un giro di affari che frutta loro 11000 euro per ettaro, o come nella sola Puglia, dove il valore della produzione, di quasi dieci milioni di quintali di pomodori, frutta ai padroni agricoli circa 79 milioni di euro.
Mentre la paga dei braccianti non arriva alle 3 euro all’ora.
Un enorme quantità di profitto e di plusvalore che si riversa nelle tasche dei padroni terrieri.
I grandi marchi della distribuzione e della trasformazione industriale delle merci agricole, viscidamente fingono di scandalizzarsi, dichiarandosi estranei alla metodologia applicata dai caporali.
Come se loro non avessero nessuna parte di responsabilità nel processo produttivo, scaricano tutte le colpe sui di padroni terrieri e sui loro caporali, arrivando persino a chiamare in modo dispregiativo caporali, quelli che in realtà sono dei capi che controllano la produzione degli operai agricoli, dicono che sono caporali mafiosi per non accostarli alla gerarchia industriale della fabbrica.
Questo è quello che i padroni riservano agli operai agricoli per soddisfare la propria fame di profitto nella produzione industriale agricola.
Fame miseria sfinimento e malattie, questo è quello a cui sono sottoposti gli operai agricoli.
Moderni schiavi della produzione agricola.
Saluti
Un operaio di Milano amico degli operai agricoli.
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