Redazione, “Furono i grandi gruppi industriali a volere la guerra”, questa frase compare regolarmente sui libri di storia. Lo hanno scritto per la prima guerra mondiale e poi per la seconda. Dopo … a massacro consumato.
Vediamo, allora, da subito chi sono oggi in Italia questi grandi gruppi industriali. E non potevano non partire dal principale gruppo italiano nel settore della guerra.
Il principale gruppo industriale italiano che produce armi è sicuramente Finmeccanica spa, presidente Gianni De Gennaro (ex capo della polizia), a.d. Mauro Moretti (ex segretario nazionale della Cgil Trasporti, ex a.d. di Ferrovie dello Stato). Anche perché questo enorme conglomerato, erede dell’Iri di mussoliniana memoria, è la proprietaria, spesso con il 100% delle azioni, di altri importanti gruppi industriali italiani come OTO Melara (blindati, armamenti terrestri, artiglieria navale), WASS (siluri), MBDA Italia (missili e sistemi missilistici), AgustaWestland S.p.A (elicotteri), Alenia Aermacchi (aeronautica), Selex ES (elettronica), ma anche non italiani come la statunitense DRS Technologies (Elettronica per la Difesa e Sicurezza).
Da settembre, e si concluderà entro il 31 dicembre 2015, è in corso l’incorporazione diretta in Finmeccanica delle varie partecipate azionarie di cui sopra. “Con il 2016, infatti, i 41mila dipendenti di Finmeccanica nel mondo di cui 30mila in Italia passeranno dall’attuale modello societario fatto di holding e società controllate alla company unica organizzata in quattro settori (aeronautica, elicotteristica, elettronica e spazio) e sette divisioni (aerostrutture, elicotteri, velivoli militari, sistemi avionici e spaziali, elettronica della difesa terrestre e navale, sistemi di difesa, sistemi di sicurezza e Ict)” (Sole24ore del 18/9/2015).
Alla fine del processo riorganizzativo, che prevede anche la cessione di consistenti partecipazioni nel civile, come la cessione a Hitachi della quota del 40% in Ansaldo Sts spa, Finmeccanica punta a concentrare la sua attività (e i suoi profitti), il cosiddetto core business, proprio sul consumo di armi, sulla guerra (la terza ci diranno, dopo, gli storici?).
Il gruppo si è collocato nel 2013 al nono posto nella classifica Sipri dei 100 maggior produttori di armi al mondo con oltre 10 miliardi di euro ottenuti dalla vendita di armi, allora corrispondenti al 50% del totale delle vendite.
Giusto per dare un’idea dei profitti che Finmeccanica ricava dalla partecipazione dei vari stati, in primis dell’Italia, alla guerra siamo andati a vedere il resoconto economico dei primi sei mesi del 2015. Si scopre così che, tralasciando le quote di plusvalore operaio che ogni anno vanno a remunerare gli innumerevoli ingegneri e tecnici del gruppo e gli incredibili stipendi dei dirigenti, gli utili aziendali nel primo semestre del 2015 sono stati pari a 154 milioni, una svolta rispetto ai due anni precedenti chiusi in perdita. Circa 50 milioni andranno allo Stato sotto forma di tasse sugli utili e i restanti 100 milioni di euro, verranno suddivisi tra gli azionisti in ragione di circa 0,150 € per azione. Azioni che giustappunto nel 2015 hanno quasi raddoppiato il loro valore. Ma chi sono i possessori delle 578.118.000 azioni di Fincantieri?
Principale azionista di Finmeccanica è proprio lo Stato italiano con il 32,45% di azioni in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze – quota che per decreto non può scendere sotto il 30%. Lo stesso decreto (DPCM 28/9/99) stabilisce inoltre che ogni altro azionista non possa detenere quote superiori al 3%. Azionariato diffuso pertanto, tra cui spiccano però altri due principali azionisti con circa il 2% ciascuno: FMR LLC (Fidelity Management Research & Co.) un fondo pensionistico americano; e il Libyan Investment Authority, il fondo sovrano libico. Pertanto, oltre che allo stato italiano e ai suoi oligarchi, parte dei profitti da guerra di Finmeccanica vanno sicuramente ai pensionati americani che hanno sottoscritto il fondo FMR LLC, e alla banca centrale della Libia. Nonché ovviamente ai restanti 74% di azionisti giocatori in borsa.
R.P.
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