sono bastati pochi scioperi prima di Natale, per allarmare Dario Di Vico, Sul Corriere della Sera: “c’è il fondato rischio che si torni al conflitto innanzitutto con l’obiettivo di compattare le file. Lo sciopero — che pure comporta un sacrificio economico — ridiventa fattore di coesione, si presenta come un elemento di certezza dentro un orizzonte caratterizzato da troppe indecisioni e amnesie”.
Di Vico è così ossessionato che comincia il suo articolo sbottando: “C’è in giro tanta voglia di scioperare”, e fa una sua arbitraria distinzione tra motivazioni condivisibili ed altre no.
L’angoscia di Di Vico per ciò che potrebbe succedere dopo questi scioperi, è data dal fatto che: “A fare massa critica non è dunque l’omogeneità delle situazioni e delle richieste quanto il ritorno in auge dello sciopero come forma prevalente di protagonismo”.
Di Vico dopo aver espresso il timore che lo sciopero “ridiventi elemento di coesione e certezza”, dopo il proprio rammarico che “le politiche riformiste fatichino a intercettare un loro popolo”, chiude l’articolo asserendo che: “lo sciopero, invece, basta a se stesso”. Speriamo che alla faccia sua, a cominciare dagli operai lo prendano in parola.
Saluti operai
L’articolo di Dario Di Vico
C’è in giro tanta voglia di scioperare. Oggi tocca ai medici in tutta Italia e al trasporto pubblico milanese, nei prossimi giorni a incrociare le braccia saranno i dipendenti del gruppo Eni, proseguiranno i ferrovieri di Trenord e sabato 19 toccherà ai lavoratori della grande distribuzione. Le agitazioni di altre categorie non sono previste nell’arco di questa settimana ma paiono imminenti e rischiano di riempire il calendario del gennaio 2016. Le motivazioni che sono alla base di queste iniziative di lotta sono diverse tra loro e in alcuni casi condivisibili con la palese eccezione degli autoferrotranvieri dei Cub dell’Atm. Che hanno proclamato lo sciopero pochi giorni dopo la conclusione (positiva) del contratto nazionale di lavoro con un aumento medio di 100 euro. A fare massa critica non è dunque l’omogeneità delle situazioni e delle richieste quanto il ritorno in auge dello sciopero come forma prevalente di protagonismo. In una stagione di identità/simboli deboli, siano essi la Sinistra, il Renzismo o la Ripresa, c’è il fondato rischio che si torni al conflitto innanzitutto con l’obiettivo di compattare le file. Lo sciopero — che pure comporta un sacrificio economico — ridiventa fattore di coesione, si presenta come un elemento di certezza dentro un orizzonte caratterizzato da troppe indecisioni e amnesie. È un segnale di come le politiche riformiste fatichino a intercettare un loro popolo, restino nel migliore dei casi delle scelte di vertice, se non addirittura di Palazzo.
È vero che nel frattempo dentro la società sono maturate buone pratiche di partecipazione come il welfare aziendale, la sharing economy, le staffette generazionali ma messe tutte assieme non riescono ancora a produrre un profilo identitario forte. Non pescano sufficientemente in basso e non costituiscono ancora una vera alternativa. Lo sciopero, invece, basta a se stesso.
Corriere della Sera 16 dicembre 2015
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