NUOVA RIVOLTA IN TUNISIA

Redazione di Operai Contro, In Tunisia è scoppiata una nuova rivolta. Il dittatore al servizio dei padroni promette 60 mila assunzioni. Sembra di sentire il gangster Renzi che promette un concorso per 63 mila precari nella scuola. La rivolta sarà la scuola di guerra dei giovani Tunisini, per la insurrezione armata contro i padroni. Non c’è che da appoggiare la rivolta e sostenere i rivoltosi. Viva la rivolta dei giovani Tunisini Un lettore Cronaca del Corriere Un giovane disoccupato tenta di buttarsi dal tetto del governatorato(Reuters) shadow 0 6 0 «Tenetelo! Si butta!». Il tetto del governatorato non è […]
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Redazione di Operai Contro,

In Tunisia è scoppiata una nuova rivolta. Il dittatore al servizio dei padroni promette 60 mila assunzioni. Sembra di sentire il gangster Renzi che promette un concorso per 63 mila precari nella scuola.

La rivolta sarà la scuola di guerra dei giovani Tunisini, per la insurrezione armata contro i padroni. Non c’è che da appoggiare la rivolta e sostenere i rivoltosi.

Viva la rivolta dei giovani Tunisini

Un lettore

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Cronaca del Corriere

Un giovane disoccupato tenta di buttarsi dal tetto del governatorato(Reuters) Un giovane disoccupato tenta di buttarsi dal tetto del governatorato(Reuters)

«Tenetelo! Si butta!». Il tetto del governatorato non è alto: abbastanza per vedere la strada intitolata all’indipendenza gridare a tutti l’indigenza. Ci si sale facile. Dopo tre ore d’attesa sul piazzale – il governatore che non esce a parlare coi manifestanti, i manifestanti che non ne possono più di chiacchiere – alle 10 del mattino il giovane Hamma Khiari prende la decisione. Va su. Si sporge. Alza un braccio. Si leva la felpa del Barcellona e l’agita come una bandiera: «Lavoro! Libertà! Dignità!». La folla sotto applaude, urla con lui. Molti ridono. Qualcuno però capisce: «Tenetelo! Si butta!». Questione di secondi: in due spuntano dalla cabina dell’elettricità, l’afferrano. Hamma scalcia un po’, si calma. Voleva morire come Bouazizi, il protomartire che cinque anni fa si diede fuoco e accese le rivoluzioni arabe. Voleva immolarsi come Ridha Yahyaoui, il laureato disoccupato che tre sere fa s’è arrampicato su un traliccio dell’alta tensione, è morto folgorato e ha dato una nuova scossa a tutta la Tunisia. Lo portano giù: «I giovani servono vivi!».

Non sarà una seconda rivoluzione, garantisce il sindacalista Nobel per la pace Hussein Abassi. Però le somiglia. La più incendiaria delle proteste dai tempi di Ben Ali. La più disperata: non chiede libertà, chiede lavoro. La più minacciosa: se la prende col governo di Tunisi, che in tutta fretta promette 60mila assunzioni e tre milioni di progetti e punizione per i corrotti e la concessione di terreni demaniali e insomma qualunque cosa, ma addita tutta la comunità internazionale che non ha messo un euro nell’unica rivolta araba pacifica. Il nuovo premier tunisino Habib Essid era a Davos, a chiedere qualche miliardo d’aiuti, ha dovuto cancellare tutti gl’incontri e rientrare. «Da cinque anni ci promettono che le cose miglioreranno – arringa un barbuto davanti alla prefettura – dov’è il meglio che ci spetta?».

Diplomati, laureati, professionisti: la protesta parte da lì. E dai ragazzi: un popolo sotto i 35 anni che si trova governato da un presidente della Repubblica di 89, da uno del Parlamento di 81, da un capo dell’opposizione di 75, da un premier di 66. «Tanto valeva tenersi Ben Ali!», dicono al Café Central di Kasserine: ai tempi della democratura, la disoccupazione era quattro punti percentuali di meno. Lo slogan principale: «Posti di lavoro o un’altra rivoluzione!». Inutile il coprifuoco dalle sei di sera all’alba: sono quattro giorni che fumano i pneumatici trascinati in strada, la spazzatura dei cassonetti, le auto rovesciate. Due morti, una novantina di feriti. La strada bloccata a Sfax, il governatorato assalito a Jendouba, barricate e lacrimogeni a Tozeur, a Mahdia, a Siliana, a Medenine, nel quartiere Kram di Tunisi, anche a Sidi Bouzid dove tutto (e nulla) cominciò nel 2010. Un ragazzo s’incendia a Kebili, ustioni di terzo grado: è uno psicolabile, sono certi, però voleva imitare pure lui l’ambulante Bouazizi. «Sembra d’essere tornati al 2010 – scrive il quotidiano Al Shuruk -. Da Bouazizi a Yahyaoui, le ragioni e le modalità si ripetono. Anche i risultati saranno gli stessi?». Mercoledì sera c’è stato pure il fattaccio: un gruppo d’infuriati è uscito da un corteo a Feriana, ha circondato un’auto della polizia, l’ha scossa, l’ha sfasciata, ne ha tirato fuori il povero agente Sufian Bouslimi di 25 anni e l’ha linciato sul posto. «Erano una ventina di salafiti – è sicuro Abassi -, cellule pronte a usare questa protesta». Possibile: Kasserine, una delle regioni più povere della Tunisia, disoccupazione al 70%, è ai piedi del monte Chambi dove s’addestrano molti dei jihadisti pronti a partire per la Libia o la Siria. I famosi 6mila foreign fighters tunisini, secondo la cifra da record mondiale che dà il governo. O i 19mila, secondo quella che danno le intelligence: «Seguite le orme dei vostri fratelli di Parigi e rovesciate i governi apostati di Tunisia e Marocco! – esorta l’ultimo audio dell’Isis – Conosciamo la vigliaccheria della polizia tunisina! Potete fare due volte meglio dei vostri fratelli di Francia! ».

Se le pance sono vuote, si fa la coda per mangiare nel paradiso dei martiri. E la famosa società civile? Un’economia paralizzata, una classe politica bollita hanno ammutolito i blogger che fecero la Rivoluzione dei Gelsomini: molti se ne sono andati o han fatto carriera. Una settimana fa, alla festa sulla Bourghiba per i cinque anni dalla caduta di Ben Ali, non se n’è visto uno. «Mai avrei creduto di ritrovarmi al governo un mix di vecchi riciclati sostenuti da un po’ di Fratelli musulmani», è deluso il saggista Hatem Nafti: vantarsi delle prime elezioni libere, della miglior Costituzione araba, della più riuscita delle transizioni non basta più. «La gente ora vuole più solo un po’ più di soldi», dice il vecchio presidente Beji Caid Essebsi. Così facile, così impossibile. Un anno fa il suo nome l’ abbreviavano tutti: «Bce! Bce!», neanche fosse la più ricca delle banche europee. Un po’ ci contavano. «M’ammazzerei di lavoro – c’è scritto su un cartello davanti al governatorato di Kesserine – se ne avessi uno per vivere»

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