Redazione di Operai Contro,
Libia, il governo di unità nazionale si è costituito il 20 gennaio 2016. Almeno, così è se vi pare. E soprattutto pare al ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni. I padroni italiani è probabilmente da tempo che chiedono al governo Renzi l’invio dei soldati, e Gentiloni questo invio lo sta confezionando da mesi, con scrupolo, mossa dopo mossa, annunci, interviste e conferenze, colloqui diplomatici con i concorrenti imperialisti di Usa, Francia, Gran Bretagna e Germania. I quali però, è di queste ore la notizia, lo stanno fregando sui tempi dell’intervento armato.
Le varie Eni, Bonatti, Belleli, Ferretti International, Impregilo, Iveco, Maltauro, Agusta Westland-Finmeccanica, Italcementi, Saipem – solo per citare le più note di una lista di almeno 133 imprese italiane in Libia – non ne possono più di dover pagare, peraltro senza successo, fior fiore di guardie armate a difesa dei loro cantieri. Eppoi la situazione sta assumendo ben altri connotati: l’Isis con il califfato indipendente minaccia non un cantiere o pozzo petrolifero, ma l’intero imperialismo italiano in Libia. Non è più questione di ingraziarsi un signore della guerra, di pagare la protezione, le tangenti, di giungere a patti sullo sfruttamento delle risorse locali, di pagare riscatti per la liberazione dei tecnici sequestrati, come i padroni italiani hanno sempre fatto in giro per il mondo.
Ecco allora la grande, “moderna” idea delle borghesie occidentali (con furto di copyright da parte di Gentiloni): un governo fantoccio locale sotto tutela degli sponsor internazionali, che si son detti ben pronti a sostenerlo, anche militarmente. Anzi, deve essere questo stesso governo libico a invocare le truppe straniere affinché anch’esse, se vi pare, non appaiano di occupazione.
“Ma fate presto a mettervi d’accordo perché sono mesi che le truppe italiane sono attese dai padroni italiani!” – strepita Gentiloni. La cronaca che il Corsera del 19 gennaio fa degli ultimi patteggiamenti è a dir poco agghiacciante. Un solo assaggio: «Al suk di Gammarth è una pioggia di richieste: dove sono i soldi per ricostruire Bengasi? E perché Brega non ha ministri? E chi controlla la banca centrale che paga le milizie? ».
Il mercanteggio alla fine si è concluso portando da 22 a 32 i ministri (dovevano essere 10 inizialmente), 2 vice per ogni dicastero, 9 membri dell’assemblea nazionale. Il capolavoro del premier designato, “architetto” Fayez al-Serraj, si realizza con un governo di ben 105 membri nel tentativo di accontentare tutte le varie fazioni borghesi libiche, e riuscendo comunque a scontentare quella del generale Khalifa Haftar. Viene escluso dal governo e sull’Egitto, che lo sosteneva, deve intervenire direttamente Renzi con una telefonata ad Al Sisi. Cosa gli avrà promesso in cambio e se sarà bastato lo vedremo nei prossimi mesi. Le truppe di Haftar e di altri scontenti potrebbero persino passare armi e bagagli direttamente con l’Isis che già oggi controlla oltre 300 chilometri di costa libica, da Sirte a Ben Jawad, e da Derna e Bengasi in piena Cirenaica.
Già, l’Isis, Al Qaeda, i “terroristi” ovviamente ai tavoli negoziali a Roma, Marocco e Tunisia non sono stati certo invitati. Propugnano un Califfato che elimini i vecchi confini coloniali e unifichi l’intero popolo arabo. Un progetto troppo scomodo sia alle fazioni borghesi libiche di Cirenaica, Fezzan, e Tripolitania uscite dalla guerra contro Gheddafi, che agli Stati limitrofi, Egitto e Tunisia. Non ne parliamo di come può venir visto dai padroni occidentali.
Così, mentre l’Italia ha già schierato 4 bombardieri a Trapani e prepara 1.000 uomini, tra carabinieri e marò per lo sbarco in terra africana, attraverso un video in rete, i terroristi hanno detto la loro. Cose davvero “terribili e assurde” all’indirizzo dell’Italia: Siete i «nipotini di Graziani», avete «proclamato la ricolonizzazione della Libia per averne le ricchezze». Aggiungendo, circa gli accordi per il governo libico unitario: «fa solo l’interesse dell’Italia, non dei libici, è un complotto che non accetteremo mai», dovrete «passare sui nostri cadaveri: non ci arrenderemo mai, sarà vittoria o morte», «ne uscirete umiliati, vi pentirete d’avere invaso la terra di Omar al-Mukhtar».
Ci piace allora terminare questo articolo con uno spezzone del film che ricorda la figura di Omar al-Mukhtar, soprannominato “Leone del deserto”. Il partigiano libico combatté le truppe occupanti italiane inviate da Mussolini fino alla cattura e morte che avvenne per impiccagione in pubblica piazza nel 1931. Brutalità intimidatoria inaugurata dalla borghesia italiana nelle colonie e che di lì a pochi anni, dal ’43, conobbero anche i “terroristi” e “banditi” italiani.
Il dialogo che vi propiniamo tra il civilizzatore Graziani che bombardò con iprite i villaggi libici e il “terrorista” Omar al-Mukhtar, nella ricostruzione storica di questo film, ci pare di estrema attualità.
R.P.
Comments Closed