Caro Operai Contro,
falliscono i tentativi della Russia di un accordo mondiale per tagliare la produzione di petrolio e rialzarne le quotazioni. Continua la guerra dei prezzi dell’oro nero, avviata nel 2014 dall’Arabia Saudita, con la decisione di inondare il mondo di petrolio e tagliare le gambe agli Usa.
Gli stessi tagliatori di teste ai vertici di Riad, non avevano messo in conto che proprio Wall Street, potesse rappresentare per le centinaia di private compagnie di petrolio americane (frachers), una barriera finora resistente a questa guerra dei prezzi al massacro.
Lo strumento prescelto è stato l’hedging: le banche hanno venduto ai produttori contratti che garantivano loro un prezzo del barile. Tuttora, un piccolo fracker, di fronte ad una quotazione di mercato di 30 dollari, sa che il 47 per cento dei suoi barili gli sarà pagato non 30, ma 75 dollari: la differenza la mette chi gli ha venduto, in tempi di prezzi alti, il contratto di hedging. Ma quel contratto, come una polizza, costa, tanto più quando il mercato va male. Quest’anno, solo il 15 per cento della produzione da shale ha un prezzo garantito. Nel 2017, la percentuale scende al 4 per cento. I frackers, dunque, ormai sono indifesi e devono sopportare in pieno l’urto del crollo dei prezzi.
I frachers che non sono falliti, non intendono certo ridurre le quote, anche se, il sistema che ha permesso loro di tenere testa al crollo del prezzo del greggio, come abbiamo visto sta diventando insostenibile. Per ora l’Arabia Saudita con i paesi produttori Opec, sembrano vincenti nella guerra dei prezzi per il controllo mondiale del petrolio. Ma non ne vogliono sapere, Russia, Usa e Occidente che stanno radendo al suolo zone e paesi del Medio Oriente con le loro popolazioni.
Per contrastare la propria subalternità nel controllo mondiale del petrolio, Russia, Usa e Occidente sono pronti come han sempre fatto a creare e sostenere governi fantocci in Medio Oriente, e ad inviare altri caccia bombardieri, cannoniere e anche truppe di terra, come quelle russe in Siria. Attraverso i governi fantocci i paesi imperialisti sopracitati, legalizzano la rapina di quei popoli, da questa rapina è nata la resistenza in Siria ed in Medio Oriente.
Il prezzo dell’inondazione saudita di petrolio. (In Usa ma non solo).
La guerra dei prezzi lanciata nel novembre 2014 sta esigendo, infatti, un pedaggio pesantissimo: 400 miliardi di dollari di investimenti cancellati, 250 mila licenziamenti, un buco di 200 miliardi di dollari di debiti, regine storiche delle Borse di tutto il mondo, come i grandi nomi di Big Oil, detronizzate da bilanci inguardabili. C’è il collasso di questo pilastro dell’economia e della finanza mondiali dietro le convulsioni che stanno attraversando i mercati azionari. La Exxon ha dimezzato i profitti, altre sorelle, come Bp e Shell, sono finite in rosso. Le agenzie di rating hanno acceso i riflettori. La stessa Exxon rischia di perdere la tripla A. La Chevron, per la prima volta in 30 anni, è stata declassata da Standard & Poor’s. Moody’s ha messo sotto esame 175 compagnie del settore energia, fra cui ci sono anche Shell e Total: in tutto 500 miliardi di dollari di debito che non vengono più giudicati sicuri. Se si restringe l’analisi alle 60 maggiori compagnie Usa indipendenti, Moody’s registra 200 miliardi di dollari di debiti, il cui valore di mercato (se qualcuno cercasse di piazzarli altrove) non supera il 56 per cento: 100 miliardi si sono volatilizzati. S&P non la vede più rosa: 42 aziende hanno già fatto bancarotta e un terzo di quelle che censisce sono sull’orlo del default. Quest’anno, i protagonisti della rivoluzione del fracking produrranno almeno 600 mila barili di petrolio in meno del 2015. Non è una bolla, ma è un massacro. Ed è quello che i sauditi volevano quando hanno deciso di inondare il mondo di petrolio.
Tratto da: La Repubblica del 4 febbraio 2016.
Saluti da un estimatore di Operai Contro
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