DAL CORRIERE
Ha iniziato l’udienza in Tribunale da imputato di due episodi di «resistenza aggravata a pubblico ufficiale» negli scontri no Expo del primo maggio 2015 a Milano: costatigli quel giorno l’arresto, poi due mesi e mezzo in carcere e altri tre di arresti domiciliari, che all’inizio gli erano stati negati perché per il Tribunale del Riesame la sua casa sarebbe potuta altrimenti diventare «un covo di terroristi». Ha finito l’udienza non soltanto vedendosi assolto (su richiesta dello stesso pm) da entrambe le imputazioni «perché il fatto non sussiste» e «per non aver commesso il fatto», ma anche ascoltando il Tribunale ordinare a sorpresa la trasmissione alla Procura degli atti su quattro poliziotti: un vicequestore aggiunto e tre agenti firmatari del verbale (base dell’incriminazione crollata) che rappresentava i fatti con dinamica che l’istruttoria ha mostrato impossibile.
Un sasso in testa
Secondo il verbale dei poliziotti il 27enne Mirko Leone, non particolarmente inserito nell’ambiente «antagonista», era la persona che nel caos degli scontri quel primo maggio in piazza Conciliazione aveva scagliato un grosso sasso alla testa del vicequestore Angelo De Simone, ed era stato bloccato poco dopo in via Pagano in un acceso parapiglia tra agenti e compagni del giovane che avevano cercato di sottrarlo alle forze dell’ordine. Elementi contrastanti questa versione erano però stati presto introdotti dagli avvocati Micaela Nitrosini e Filippo Caccamo, sulla base di uno studio dei video di quel pomeriggio di inaugurazione dell’Expo 2015 e degli orari dei fotogrammi, che già a parere della difesa non consentivano di collocare il giovane nei luoghi dove sarebbe dovuto trovarsi per corrispondere alla dinamica dell’accusa. E a questo punto decisiva è stata la correttezza istituzionale sia del pm Piero Basilone sia dei dirigenti della Questura milanese.
Ricostruzione
Il primo, infatti, ha ricostruito che in realtà Leone, probabilmente a insaputa del vicequestore, senza documenti in piazza Conciliazione era stato fermato per identificazione da un altro funzionario di polizia (Antonio D’Urso, quello poi ripreso nel famoso video che lo vede aggredito e bastonato da un black bloc), il quale l’aveva affidato a un altro agente: dunque Leone in via Pagano non poteva essere fermato in alcuno scontro perché già sotto il controllo di poliziotti che lo accompagnavano in caserma.
Custodia
In teoria restava un piccolo «buco» ricostruttivo, una parentesi nella quale sempre in teoria si poteva ipotizzare che Leone, fermato in piazza Conciliazione, avesse riguadagnato la libertà per qualche momento, e in questa parentesi avesse di nuovo opposto resistenza a pubblico ufficiale nei termini descritti dal verbale del vicequestore De Simone e degli agenti Alessio Cianatiempo, Riccardo Matta e Antonio Cota. Ma a chiudere anche questa parentesi, e a dare la certezza di una catena di custodia di Leone mai interrottasi tra piazza Conciliazione e via Pagano, è stata la convocazione di tutti i propri uomini da parte del capo della Digos, Claudio Ciccimarra, per chiedere loro se qualcuno ricordasse il volto di Leone: e una poliziotta non solo lo ha ricordato benissimo, ma soprattutto ha ricordato che gli era stato affidato proprio da un altro collega, che a sua volta l’aveva avuto in custodia in piazza Conciliazione.
Assoluzione
Il pm in requisitoria ha perciò chiesto l’assoluzione, concludendo che, se il secondo episodio non poteva essere avvenuto con le modalità testimoniate dai poliziotti verbalizzanti, costoro non potevano essere di per sé ritenuti sufficienti a dare credibilità neppure al primo episodio. Le giudici Giovanna Campanile, Maria Cristina Pagano e Ombretta Malatesta sono andate oltre: e insieme all’assoluzione hanno anche trasmesso gli atti alla Procura affinché valuti eventuali reati nel comportamento dei quattro poliziotti.
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