PUBBLICHIAMO PER IL DIBATTITO
IL TESTO DELL’ART. 21 DELLA COSTITUZIONE AFFERMA:
« Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.[5]
Nell’indifferenza del paese in questi ultimi decenni il diritto del lavoro italiano è radicalmente mutato. Si moltiplicano i casi di lavoratori licenziati per aver espresso pubblicamente opinioni critiche alle scelte delle proprie aziende, anche fuori dall’orario e dalle sedi di lavoro. Licenziamenti che sono confermati nei diversi gradi di giudizio con motivazioni riconducibili all’obbligo primario di fedeltà alla propria azienda. Eppure l’articolo 2105 del codice civile dispone solo che il lavoratore non tratti affari in concorrenza con l’imprenditore, né divulghi notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o ne faccia un uso che possa recargli danno. Quest’articolo è invece fatto valere estensivamente, rubricando anche la semplice espressione di una critica come atto illegittimo. Questo principio, insieme a quello della continenza nell’esercizio della critica, sono sempre più spesso usati per limitare il dissenso e come strumento di deterrenza all’iniziativa sindacale. La vicenda dei lavoratori della FCA di Pomigliano, licenziati per aver inscenato al di fuori del luogo e dell’orario di lavoro il suicidio di un Marchionne angustiato per i lavoratori che si sono tolti la vita dopo il licenziamento, proprio per la crudezza dei toni, mette drammaticamente in chiaro quanto sta accadendo nel nostro paese. Le recenti riforme del mondo del lavoro hanno modificato le relazioni tra lavoratori e datori di lavoro, indebolendo le tutele dei primi a favore dei secondi. Allo stesso modo è cambiato radicalmente anche il diritto del lavoro. Con esiti che rischiano di incidere sul più generale godimento dei diritti di espressione e di critica sanciti dall’articolo 21 della Costituzione, e di annullare le tutele di quell’autonomia e libertà di critica che sono i prerequisiti di qualsiasi relazione sindacale. Quanto sta accadendo non è solo il risultato di cambiamenti normativi, ma anche e forse soprattutto l’indice di una profonda involuzione culturale, se è vero che i giudici interpretano e adattano ai casi concreti i principi generali della fedeltà e della continenza. Interpretazioni sempre più ampie che stanno progressivamente cancellando ogni possibilità di dissenso da parte dei lavoratori, e delle organizzazioni sindacali, minacciando uno dei pilastri giuridici del sistema democratico del nostro paese.
A fronte di queste trasformazioni riteniamo sia urgente una presa di posizione di giuristi, professionisti del diritto, di sindacalisti e di lavoratori, di cittadini che inverta quella che ci sembra una regressione della cultura giuridica, politica e civile del nostro paese. Crediamo che non siano più rinviabili iniziative pubbliche a difesa dei diritti e del diritto dei lavoratori e intendiamo farci promotori, con tutti coloro che condividono il nostro allarme, a promuovere occasioni di confronto, dibattito e mobilitazione per promuovere più giusta ed equa cultura giuridica del lavoro a partire dalla revisione delle norme che regolano l’obbligo di fedeltà. Nella prima settimana di luglio si terrà a Napoli un incontro pubblico con giuristi, lavoratori, sindacalisti e semplici cittadini.
Per ulteriori adesioni: [email protected]
Alessandro Arienzo, Andrea Vitale, Franco Rossi, Giuseppe Allegri, Gianfranco Borrelli, Ascanio Celestini, Francesca Coin, Giorgio Cremaschi, Erri De Luca, Giuseppe Di Marco, Nicola Di Matteo, Roberto Esposito, Maurizio Ferraris, Ugo Maria Olivieri, Moni Ovadia, Daniela Padoan, Daniele Sepe.
Art. 21?….Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4 la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 11 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, e come mezzo di risoluzione delle controversie Internazionali.
Art. 42. LA Proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge.
Operai, questi sono alcuni articoli della Costituzione della Repubblica italiana, è la legge fondamentale, cioè la fonte del diritto dello Stato borghese italiano.
Operai, quando ho letto l’appello firmato, non volevo credere ai miei occhi. Alcuni dei firmatari ho avuto modo di incrociarli nella mia crescita politica, ero un adolescente quando dal mio paese, in provincia di Avellino mi recavo a Napoli in via Stella con i compagni di Grottaminarda. Criticare i firmatari mi veniva difficile: un operaio con la terza media e i tre anni del professionale che si permette di criticare degli intellettuali; per alcuni giorni ho letto e riletto l’appello: le frustrazioni aumentavano. Poi mi è venuto in mente un incontro: dopo moltissimi anni ho rivisto al mio paese, Michele R., un compagno a cui devo molto per la mia trasformazione da ribelle a militante comunista. Quanto lo salutai lo apostrofai in modo scherzoso “Ecco il mio cattivo maestro!” Mi salutò con calore e mi disse che il percorso da me fatto mi permetteva di dire la mia in qualsiasi situazione. Operai, la Costituzione più bella del mondo è chiara: L’ Art. 21 termina in questo modo: “…sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”. I giudici applicano la legge: leggi che la dittatura capitalista si è data per tenerci sotto la sferza della schiavitù salariata; appellarsi alla Costituzione per noi è come darsi una martellata sui coglioni. Operai quando i padroni ci licenziano, non appelliamoci alla Costituzione, è quello che vogliono loro perchè la legge li tutela; quando veniamo licenziati, facciamo i picchetti, o se ci riusciamo, occupiamo le fabbriche, arriva il loro apparato repressivo che ci manganella, ci arresta, o fioccano denunce; la legge è a loro favore, vedi Art. 42 che tutela la proprietà privata. Se cerchiamo di difendere il territorio dalle rapine dei padroni, questi mandano il loro apparato repressivo e anche qui manganellate, arresti o denunce. Se lottiamo contro la guerra che i padroni fanno in tutto il mondo, perchè noi non vogliamo essere il braccio armato dei padroni contro gli sfruttati di altri paesi, e anche qui manganellate, denunce, e arresti. Operai tutto questo è scritto nella Costituzione più bella del mondo. Che questo lo dica il giullare Roberto Benigni non mi preoccupa, invece mi preoccupo quando degli intellettuali che si definiscono di sinistra citano i lavoratori, e non gli operai della Fiat e fanno appello alla Costituzione. Operai la Costituzione borghese è tutta sbilanciata a favore dei padroni, facciamo nostre le contraddizioni che essa contiene e con forza sosteniamo che, a parità di diritto, contano i rapporti di forza che noi siamo in grado di mettere in campo. Il nostro primo compito è quello di renderci indipendenti da tutti; costruiamo il PARTITO OPERAIO, lo strumento che ci permette di liberarci dalla schiavitù salariata, di collegarci con gli sfruttati di altri paesi, che ci unisce come classe e uniti facciamo paura a tutti. Dobbiamo essere coscienti che siamo circondati da nemici, partitini sinistrati, sindacati e sindacatini che hanno tutto l’ interesse a tenerci come schiavi salariati; noi non sbattiamo la porta in faccia a nessuno, ma a nessuno sarà più permesso di prenderci per il culo.