Redazione di Operai Contro,
ti segnalo questo articolo del fattoquotidiano sulla massomafia. A mio parere ha ragione
Un lettore
Un esempio? “Lungo la Milano-Desio abbiamo trovato una discarica di 65mila metri quadri: gli ‘ndranghetisti hanno acquistato i terreni agricoli a un prezzo superiore a quello di mercato, poi hanno proposto alle industrie del bergamasco di smaltire i loro rifiuti pericolosi risparmiando e li hanno sepolti in quei terreni, in buche profonde 9 metri. Dopo di che hanno ottenuto l’edificabilità e ci hanno costruito sopra delle case che hanno venduto sottocosto. Così sono tutti contesti, dai liberi professionisti coinvolti agli amministratori locali ai cittadini”. Un modus operandi che, appunto, non crea opposizione ma accettazione sociale. “Non è paura: fanno leva sugli interessi personali. Il risultato è che i nostri strumenti di contrasto diventano inadeguati: una sezione della Cassazione, davanti a un caso di mafia al nord senza atti di violenza sul territorio, ha stabilito che si trattava di “mafia silente” e dunque non c’era reato, perché mancava il requisito dell’articolo sull’associazione mafiosa che dice che per configurarla ci vuole, appunto il metodo mafioso”. Un’altra sezione ha aggirato l’ostacolo appigliandosi al fatto che si trattava di “una cellula della casa madre calabrese, la quale in Calabria il metodo mafioso lo usa. Una giravolta giuridica, sintomo che il sistema di fronte a questa evoluzione è in sofferenza. Anche sequestro e confisca non funzionano più se la mafia non investe in palazzi ma in fondi e strumenti finanziari”. In pratica “c’è un gap conoscitivo tra la nuova realtà della mafia e quello che l’opinione pubblica ma anche molti operatori di giustizia pensano. Ma se pensi che quando non ci sono una pistola puntata e una coppola storta non c’è mafia, c’è il pericolo di un disarmo progressivo”, avverte Scarpinato. “E’ un problema non solo da giuristi, ma criminologico, politico e sociale: occorre un ripensamento complessivo dell’intervento giuridico contro le mafie mercatiste, che tenga conto di questi confini sempre più sfumati”.
Ma c’è di più, c’è un terzo livello: “Nuove forme criminali che nascono dall’ibridazione di segmenti della classe dirigente che praticano in modo sistematico il crimine, per esempio attraverso la corruzione, e aristocrazie mafiose che confluiscono in nuove superstrutture, sistemi criminali, comunità di élite”. E’ quella che Scarpinato definisce la “massomafia”. “La ndrangheta non esiste più. Adesso fa parte della massoneria, è sotto ha pero le stesse regole”, dice un boss intercettato nell’ambito dell’inchiesta Mammasantissima. “Bisogna modernizzarsi: il mondo cambia e bisogna cambiare tutte le cose”. Si può chiamarla massomafia o “P4, P6, P9” e il canale che la alimenta è la corruzione, “diventata un fenomeno incontenibile e in crescita costante perché nel nostro Paese si è venuto a creare, di fatto, uno statuto impunitario”. “In carcere a espiare pene per reati contro la pubblica amministrazione non c’è praticamente nessuno”, ha ricordato il procurato di Palermo, “perché ci sono leggi che hanno azzerato i rischi e il costo penale che paghi se vieni scoperto. La prescrizione massima è di sette anni e mezzo: in Sicilia si sta prescrivendo il processo per una delle maggiori truffe su fondi Ue per la formazione, il caso Ciapi. La riforma? Pannicelli caldi. Quest’anno io ho chiesto al ministro, per l’ennesima volta, di estendere il raddoppio dei termini di prescrizione che vale per i reati di mafia a quelli contro la pa. Ma non se ne fa mai nulla. Poi servono gli infiltrati. Ma anche di questo non si fa mai nulla. Così l’impunità è garantita”.
Sulla stessa linea, per quanto riguarda la necessità delle operazioni sotto copertura per combattere la corruzione, anche il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo, che durante Insolvenzfest ha auspicato anche un sistema premiale molto più spinto – fino alla garanzia dell’impunità – per indurre a collaborare il pubblico ufficiale corrotto che viene scoperto. “Gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi sono del tutto inefficaci”. Quanto a “chi critica gli indici di corruzione percepita, di solito ha in simpatia la corruzione”, ha chiosato Davigo. “Per avere un’idea di quanto pesa sull’economia italiana basta guardare l’indice messo a punto dalla professoressa Miriam Golden e dal professor Lucio Picci: la misura in ragione del costo delle opere pubbliche dedotto l’indice orografico, che ovviamente su quel costo incide. Risultato: in Spagna l’alta velocità ferroviaria è costata circa 9,8 milioni al chilometro, in Francia 10,1. In Italia la Torino-Milano, che è tutta pianura, l’abbiamo pagata 77 milioni al chilometro”.
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