Sulla base di questa e di altre 170 testimonianze di migranti e rifugiati raccolte nel corso di quattro distinte ricerche condotte quest’anno nel nostro paese, Amnesty International oggi ha pubblicato un rapporto nel quale denuncia come le pressioni dell’Unione europea affinché l’Italia usi la “mano dura” nei confronti dei rifugiati e dei migranti abbiano dato luogo a espulsioni illegali e a maltrattamenti che, in alcuni casi, possono equivalere a vere e proprie torture.
Il cosiddetto “approccio hotspot”, introdotto nel 2015 su raccomandazione della Commissione europea, prevede che l’Italia prenda le impronte digitali a tutti i nuovi arrivati. Per soddisfare la richiesta della Commissione, l’Italia ha adottato misure coercitive, soprattutto nei confronti di chi volendo chiedere asilo in altri paesi – magari perché lì ha già legami familiari – cerca di non prendere le impronte digitali dalle autorità italiane, per non rischiare di essere rimandato in Italia ai sensi del cosiddetto sistema di Dublino.
Amnesty International ha ricevuto denunce di arresti arbitrari, intimidazioni e uso eccessivo della forza fisica per costringere uomini, donne e anche bambini appena arrivati a farsi prendere le impronte digitali. Su 24 testimonianze di maltrattamenti raccolte da Amnesty International, in 16 si parla di pestaggi.
Una donna di 25 anni proveniente dall’Eritrea ha riferito che un agente di polizia l’ha ripetutamente schiaffeggiata sul volto fino a quando non ha accettato di farsi prendere le impronte digitali. In alcuni casi, migranti e rifugiati hanno denunciato di essere stati colpiti con bastoni elettrici.
Intendiamoci: nella maggior parte dei casi il comportamento degli agenti di polizia è e resta professionale e la vasta maggioranza delle impronte digitali è stata presa senza incidenti. Ma la necessità di un riesame indipendente e complessivo delle prassi attualmente utilizzate, alla luce di queste ultime denunce, rimane intatta. Queste prassi, tra l’altro, affidano alle forze di polizia un ruolo che va oltre l’aspetto dell’ordine pubblico.
I nuovi arrivati in Italia devono essere esaminati tempestivamente al fine di separare i richiedenti asilo da coloro che sono considerati migranti irregolari. Ciò significa, peraltro, che persone spesso esauste e traumatizzate dal viaggio e senza accesso a informazioni adeguate o a consigli sulle procedure d’asilo, sono costrette a rispondere a domande che possono avere profonde implicazioni per il loro futuro.
Sulla base di interviste estremamente brevi, agenti di polizia che non hanno ricevuto una formazione adeguata sono chiamati a prendere a tutti gli effetti una decisione sui bisogni di protezione delle persone che hanno di fronte: anziché limitarsi a domandare se intendono chiedere asilo, devono chiedere ai nuovi arrivati di spiegare perché sono arrivati in Italia. E poiché lo status di rifugiato non è determinato dal motivo per cui una persona è arrivata in un paese ma dalla situazione cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio, questo approccio è fondamentalmente difettoso.
Coloro che sono giudicati privi di un motivo per chiedere asilo ricevono un ordine di espulsione, incluso il rimpatrio forzato nel paese di origine, che può esporli a gravi violazioni dei diritti umani.
Sempre più incalzata dall’Unione europea, l’Italia sta cercando di aumentare il numero dei migranti rinviati nei paesi di origine, anche negoziando accordi di riammissione con paesi in cui vengono commesse sistematiche violazioni dei diritti umani. Uno di questi accordi è stato firmato nell’agosto 2016 tra le polizia di Italia e Sudan. Consente procedure d’identificazione sommarie che, in determinate circostanze, possono essere espletate persino in Sudan a espulsione avvenuta. Anche quando l’identificazione avviene in Italia, si tratta di una procedura talmente superficiale e così fortemente delegata alle autorità sudanesi da non poter determinare caso per caso se una persona sarà o meno a rischio di subire violazioni dei diritti umani al suo rientro in Sudan.
Il 24 agosto 2016, come denunciato all’epoca da ilfattoquotidiano.it, 40 cittadini sudanesi – tra cui persone provenienti dal Darfur – sono stati rinviati in aereo dall’Italia in Sudan. Da tempo Amnesty International chiede chiarimenti al ministro dell’Interno Angelino Alfano sulla gestione dell’approccio hotspot e sulle espulsioni ma finora non ha mai ricevuto risposta.
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