Neanche sette mesi fa, interpellato da ilfattoquotidiano.it in merito alla ragnatela di conflitti d’interesse che si annida dietro alla gestione del costosissimo ciclo dei rifiuti nelle province di Arezzo, Siena e Grosseto, ne aveva negato l’esistenza sventolando anzi l’uso regole chiare e rispettate e sostenendo che “qui c’è una gara, c’è un capitolato, ci sono regole ben precise, il ruolo è netto”. Oggi si trova ai domiciliari dopo che l’operazione Clean City è stata portata a termine dal comando provinciale della Guardia di Finanza di Firenze su ordine della Procura del capoluogo toscano. Così l’ingegner Andrea Corti, 50 anni, direttore generale dell’Ato Toscana Sud, l’arbitro della raccolta e dello smaltimento dell’immondizia, dovrà rispondere dell’accusa di turbativa d’asta e corruzione insieme all’ex parlamentare senese esperto di rifiuti, Fabrizio Vigni e ad altri 3 professionisti chiave per l’andamento della gara per i quali è stata disposta l’interdizione dai pubblici uffici. A lui in particolare i magistrati rivolgono l’accusa di aver incassato compensi illeciti per oltre 380mila euro.
Gli inquirenti indagano dal 2014 sull’assegnazione dell’appalto ventennale da circa 171 milioni l’anno per un totale di oltre 3,5 miliardi di euro, affidato dall’Ato di Corti che della gestione dei rifiuti dell’area è regolatore e arbitro per conto dei comuni. Vincitore privato della gara, assegnata nel 2012, era risultata la Sei Toscana, una società frutto di un raggruppamento d’imprese pubbliche e private riconducibile tra gli altri alla vecchia Banca Etruria e alla Castelnuovese, la cooperativa guidata per un decennio dall’ultimo presidente dell’istituto, Lorenzo Rosi. Sulla base di un approfondito esame degli atti di gara nonché della copiosa documentazione contabile e bancaria acquisita nel corso delle indagini dalle Fiamme Gialle, è però emerso che gli indagati avevano concordato preliminarmente – nonostante rivestissero ruoli distinti ed incompatibili – le modalità di dettaglio della procedura (addirittura le domande da rivolgere ai potenziali concorrenti), nonché la stessa materiale redazione di alcuni documenti, strutturando di fatto “su misura” il bando di gara così da favorire la società appaltante. Tra l’altro, come ipotizzato da un esposto del Movimento 5 Stelle alla Corte dei Conti che ha dato origine all’inchiesta, gli indagati avrebbero inserito nel bando stesso talune clausole che risultavano particolarmente vessatorie per ogni altra impresa che avesse voluto partecipare alla gara con la chiara finalità di scoraggiare eventuali concorrenti.
I guadagni illeciti di cui avrebbe beneficiato Corti sarebbero stati giustificati contabilmente dagli imprenditori che si erano aggiudicati l’appalto facendoli figurare quali costi sostenuti (fittiziamente) per incarichi di prestazione d’opera professionale o per collaborazione e/o consulenza. Quanto agli altri indagati colpiti da interdizione, si tratta innanzitutto di chi ha scritto il bando e di chi ha steso il progetto del vincitore. Quindi l’avvocato Valerio Menaldi, 52 anni, del foro di Firenze (interdetto anche dalla professione legale), partner, come Tommaso D’Onza anche lui indagato, dello studio legale fiorentino Mariani e Menaldi che ha redatto le regole della gara. Fa da contr’altare Eros Organni, l’amministratore delegato di Sei approdato alla guida della società dopo averne curato il progetto per vincere il bando insieme al collega Dario Capobianco. Al momento della nomina al vertice di Sei, uno dei suoi grandi elettori, il sindaco di Siena, Bruno Valentini, l’aveva difeso definendolo un “tecnico dei servizi pubblici locali”. Dimenticandone forse le passate vesti di partner dello Studio di commercialisti di Luciano Nataloni, l’ex consigliere di Banca Etruria in tempi più recenti finito nel mirino della procura di Arezzo per “omessa comunicazione di conflitto d’interessi”, con cui Organni ha condiviso una lunga lista di attività imprenditoriali.
La misura cautelare dell’interdizione dai pubblici uffici per un anno ha toccato infine anche Marco Buzzichelli, 54 anni, consigliere di Sei, ma soprattutto amministratore delegato di Sienambiente, ovvero il perno sul quale è nata la stessa Sei. Il gestore del piano provinciale senese dei rifiuti fondato alla fine degli anni ’80 dagli enti locali e dal Monte dei Paschi di Siena, di cui Rosi è stato consigliere dal 1997 fino al 2002, conta tra i suoi storici presidenti anche un personaggio del calibro di Fabrizio Vigni. Ovvero l’ex consigliere provinciale e comunale di Siena, che da parlamentare, tra il 1994 e il 2006, è stato membro della Commissione ambiente della Camera e ha partecipato alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Un curriculum d’eccellenza, insomma, per uno dei padri spirituali e materiali di Sei Toscana (che ha presieduto fino al marzo scorso) e dell’Ato Toscana Sud. Un figlio che gli è però costato l’iscrizione nel registro degli indagati.
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