IL COMITATO PER IL NO AL REFERENDUM HA PUBBLICATO LA SUA POZIONE E CHIEDE CRITICHE E COMMENTI. LA REDAZIONE DI OPERAI CONTRO DA TEMPO HA FATTO SAPERE CHE E’ D’ACCORDO CON IL NO DEL PARTITO OPERAIO. PUBBLICHIAMO DI SEGUITO LA POSIZIONE DEL COMITATO DI ARIANO IRPINO E LA POSIZIONE PER IL NO DEL PARTITO OPERAIO
LA REDAZIONE DI OPERAI CONTRO
1. Il dibattito politico italiano degli ultimi mesi è stato quasi totalmente occupato dal referendum sulla riforma costituzionale approvata dal parlamento in primavera e sulla quale si voterà il 4 dicembre.
Anche se è stato dedicato tanto spazio al tema, siamo sicuri che nessun partito politico che in questi ultimi mesi si è espresso sul referendum costituzionale sia riuscito a convincere lavoratori e disoccupati che una vittoria del sì o del no sia decisiva, o almeno favorevole, per le loro condizioni di vita.
Nelle dichiarazioni a favore o contro la riforma è stato infatti assunto nella maggior parte dei casi un altro punto di vista: quello dei cittadini, del popolo, della volontà popolare, del Paese. Si immagina cioè che l’attuale società sia costituita da tutti individui che hanno interessi coincidenti e che serenamente decidono insieme la maniera più razionale per organizzare le proprie attività e per migliorare la propria vita. Nonostante questa immagine, l’attuale società continua ad essere quella che è, cioè una società formata da classi sociali con interessi contrapposti: anzitutto la classe dei lavoratori subordinati da una parte e la classe di chi si arricchische grazie al lavoro dei primi, dall’altra.
Gli schieramenti del sì e del no sono molto diversificati al loro interno, però è possibile sintetizzare le due posizioni: secondo il sì, la riforma costituzionale rende l’azione politica più efficace e permette di produrre il cambiamento che serve al Paese; secondo il no, la riforma costituzionale stravolge la costituzione e toglie almeno parzialmente ai cittadini il potere di decidere.
Anche se alcune argomentazioni esposte dai due schieramenti per sostenere le loro tesi offrono spunti interessanti, esse prese in sè falsificano e deviano. In questa seconda parte vogliamo spiegare il perché.
2. A causa della crisi economica e del peggioramento delle condizioni di vita di lavoratori e disoccupati, diventano più profondi i dubbi che gli appartenenti alla classe lavoratrice nutrono sulla possibilità di migliorare le proprie condizioni affidandosi ai rappresentanti della classe dominante. La classe dominante è la classe con interessi imprenditoriali, ed è importante precisare: al suo interno presenta articolazioni e conflitti.
Non solo si consuma il consenso da parte dei lavoratori nei confronti dei rappresentanti politici della classe abbiente, ma tende a consumarsi anche il consenso nei confronti della classe abbiente da parte di altre sezioni della società, che vengono costrette in periodi di crisi a rinunciare a propri diritti o privilegi. Il consenso infatti, oltre ad essere alimentato dalla propaganda, ha una base materiale su cui viene costruito: gli interessi economici dei settori sociali rappresentati.
È specifico di un sistema parlamentare che il consenso si esprime e mantiene attraverso determinati organismi statuali rappresentativi. In fasi in cui la frammentazione all’interno della classe sociale dominante si fa più acuta e le sue alleanze con altri strati meno sicure, un meccanismo parlamentare che prevede una rappresentanza relativamente ampia rende più complicato alla classe dominante assicurarsi il consenso per governare. Il tentativo di risolvere queste complicazioni può essere di tipo diverso: attraverso una determinata riforma costituzionale, una determinata legge elettorale o attraverso la deroga alla costituzione, cioè attraverso la dittatura. In questo momento sono i primi due casi a verificarsi.
Una precisazione, utile anche in altre circostanze: è sbagliato pensare che chi domina la società dimostra sempre e comunque una superiorità teorica e tecnica, che risulta alla fine necessariamente vincente. Qui, come in altre situazioni, abbiamo un tentativo storico concreto (quindi non per principio il più efficace possibile) da parte della classe che domina la società di facilitarsi i compiti di esercizio del potere. Ciò si vuole realizzare attraverso le attuali modifiche alla costituzione quali l’abolizione del bicameralismo perfetto (modifiche all’art. 55) 1, il trasferimento allo Stato di diverse materie di competenza legislativa delle Regioni (modifiche all’art. 117), la possibilità in certi casi da parte dello Stato di legiferare anche in materie che sono sotto la potestà legislativa delle Regioni (modifiche all’art. 117).
A parte poche eccezioni, le posizioni del sì e del no che abbiamo letto e ascoltato in questi mesi sono devianti perché omettono o nascondono che è questo il senso delle attuali modifiche costituzionali. Questo senso diventa visibile quando si riconosce il carattere classista della società, che abbiamo sopra schizzato e che deve essere approfondito (innanzitutto da noi stessi che scriviamo qui).
3. Cosa proponiamo di votare al referendum?
Di votare no. La scelta di votare no, secondo le motivazioni che abbiamo esposto, si fonda sul bisogno di ostacolare la semplificazione dei compiti della classa sociale dominante e sull’importanza di rifiutare interpretazioni della realtà che collaborano a mantenere i lavoratori culturalmente e praticamente sottomessi. Infine non minimizziamo la scommessa in termini di consenso che è stata lanciata dal presidente del consiglio, che ha presentato il risultato del referendum come il piano su cui misurare il consenso al governo. Attraverso la campagna per la modifica al sistema parlamentare si vorrebbe ottenere quindi anche qualcosa in più: l’approvazione popolare dell’operato passato e di quello futuro (!) di questo governo. Pensiamo che chi sperimenta l’appesantirsi della propria condizione di dipendenza economica all’interno della società difficilmente sarà disposto a dare la sua approvazione.
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