dal fatto qotidiano
La trattativa per ora ha portato alla riduzione degli esuberi (inizialmente erano circa 80), ma il dialogo ora sembra interrotto e il sindacato dei Cobas, che sta seguendo la vertenza, ha promesso una mobilitazione continua fino al reintegro di tutti i lavoratori. Una manifestazione nazionale è già stata programmata a Modena, sabato 3 dicembre. Anche la Cgil martedì 29 novembre ha organizzato un presidio sotto la prefettura di Modena, “per denunciare ancora una volta che il sistema degli appalti nel distretto agroalimentare modenese è al di fuori delle regole, insostenibile, produce sfruttamento del lavoro e crea terreno fertile per infiltrazioni illegali e malavitose”.
La vicenda degli operai della Global carni, di proprietà della famiglia di imprenditori Levoni (che non ha niente a che vedere con quella dei salumi di Mantova) non è un caso isolato, e ha aperto una finestra sulla situazione dei lavoratori della filiera delle carni e dei salumi modenese. Un comparto che, stando ai dati della Cgil, solo nella provincia muove 3 miliardi di euro, e dove quasi un terzo dei lavoratori è in appalto a cooperative che hanno una vita media di pochi anni. I sindacati non esitano a definirli “schiavi” e parlano di “moderno caporalato” basato su un sistema di “false cooperative”, dove chi chiede diritti e protesta viene punito e licenziato.
I racconti che arrivano dall’interno degli stabilimenti dipingono un quadro da secolo scorso. I lavoratori sono in larga parte stranieri, provengono dal Ghana, dall’Albania, dal Marocco e dalla Tunisia. “Vengono fittiziamente inquadrati come soci delle cooperative – spiega ancora Franciosi – ma questi non sanno nemmeno che cos’è una società cooperativa”. La paga non supera i 7 o gli 8 euro all’ora. Quasi tutti sono assunti come facchini, nonostante facciano i macellai. Quindi con meno tutele anche dal punto di vista degli infortuni, che purtroppo usando coltelli, ganci e seghe elettriche sono frequenti. “Disossiamo prosciutti per 10, 12 o anche 16 ore al giorno”, racconta Mohamed. Alcuni di loro lo fanno da oltre quindici anni, e sono passati da una decina di cooperative. “Cambiavano il nome ma il lavoro era sempre lo stesso”.
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